Un viaggio nel tempo attraverso l’archivio del manifesto. Le nostre prime pagine sulle elezioni europee, dal 1979 a al 1994.

Il 10 giugno 1979 si votò per la prima volta per le elezioni europee. Ma in Italia una settimana prima – il 3 e 4 giugno – si tennero le politiche. Le prime dopo l’omicidio di Aldo Moro e il fallimento del compromesso storico tra Dc e Pci, con la crisi del governo di unità nazionale.

Leggi anche la seconda parte, dal 1994 al 2024.

Si chiudevano gli anni Settanta e si affacciava il nuovo decennio. Era la fine di un’era. Il 7 aprile 1979 i pm di Padova guidati da Pietro Calogero arrestarono Toni Negri e altri esponenti di Autonomia operaia.

Le elezioni furono vinte dalla Dc (al 38,3%) e segnarono un arretramento del Pci (al 30,8%, -4% rispetto alle precedenti elezioni). Ma i partiti di centrodestra non ottennero la maggioranza assoluta e chiesero i voti del Partito socialista (9,8%), già guidato da Bettino Craxi, dando vita a quello che poi diventerà più stabilmente “il pentapartito” (Dc, Pri, Pli, Psdi e Psi).

La sorpresa di queste elezioni furono i radicali guidati da Marco Pannella, che con il 3,4% passarono da 4 a 18 parlamentari.

3 giugno 1979, il manifesto al bivio

Il sommarione del manifesto del 3 giugno 1979 scrive:

Fermare anche col voto la Democrazia cristiana per batterla domani con una lotta più forte. Fare avanzare tutta la sinistra perché esca dalla palude e dalla divisione. Riaprire la strada a uomini e donne che vogliono cambiare questa società pietra su pietra

la copertina del manifesto del 3 giugno 1979, elezioni politiche
la copertina del manifesto del 3 giugno 1979, elezioni politiche

Un editoriale di Rossana Rossanda (Noi, oggi e dopo) dribbla le indicazioni di voto esplicite a questa o quell’altra lista e con una bella dose di autrocritica spiega che stavolta “il manifesto vota e invita a votare per la sinistra”, “diamo, in queste elezioni, priorità al fatto che l’insieme della sinistra di matrice operaia non arretri”.

E poi un monito che vale ancora oggi: “Non condividiamo la tesi diffusa, quanto storicamente infondata, che la sinistra si corregge dimezzandola: dimezzata, le restano di regola i peggiori difetti”.

Scrive ancora Rossana, tra sarcasmo e realismo:

“E’ abitudine che il ragionare critico, in modo non asseverativo e fanatico, cada davanti al voto. Questa è la mia lista, la mia patria, il mio scopo ultimo. E’ in crisi il marxismo, è malato il socialismo, Marx, Lenin e Mao sono rinviati nell’archivio dei morti, si dubita della milizia, del collettivo, della organizzazione — la sola non in crisi è la scheda, la sola che regge è l’urna. I più acerbi critici della forma politica non riescono a concepire identità politica fuori dalla rappresentanza parlamentare.

Bene, il manifesto ridimensiona la sacralità di ogni singola lista, in nome della contraddizione principale che passa fra Dc e sinistre, e che parzialmente esprime, parzialmente, la contraddizione fra il magma del blocco dominante e quello dei dominati.

Dice il nostro giornale, che la contraddizione principale è qui.

Non dice che passa fra stato autoritario e libertà del cittadino, se no sarebbe radicale.

Non dice che passa fra Pci e nuove sinistre, se no indicherebbe una di esse.

Non dice che passa fra elezioni e spontaneità selvaggia, se no sarebbe con l’autonomia (che, con modesta coerenza proletaria, è invece coi radicali). E’ chiaro? Dovrebbe esserlo”.

Per il manifesto, giornale comunista, è l’inizio di una fase nuova dopo il primo decennio di vita vissuto tra partito e quotidiano, una fase più simile a quello che è il giornale oggi: “Non saremo né i risolutori né i rifondatori della sinistra; ma una presenza politica attorno a una testata, con la modestia che viene dalla dimensione del percorso da compiere e risoluta a tentarlo”.

Rossana Rossanda, 3 giugno 1979
“Non saremo né i risolutori né i rifondatori della sinistra; ma una presenza politica attorno a una testata, con la modestia che viene dalla dimensione del percorso da compiere e risoluta a tentarlo”

10 giugno 1979, la prima volta in Europa

Le prime elezioni parlamentari degli allora 9 stati membri della Comunità europea per eleggere i 410 membri dell’Europarlamento si tennero tra il 7 e il 10 giugno. Furono le prime elezioni internazionali della storia. Furono vinte dal gruppo Socialista con 113 seggi, davanti al Partito Popolare Europeo che ne ottenne 107.

il manifesto non dedica molto spazio alle europee. Troppo più importanti le ricadute del voto alle politiche di una settimana prima. Un trafiletto in prima pagina e una pagina scritta da Astrit Dakli che spiega il funzionamento dell’europarlamento e la posta in gioco.

Degna di nota, sullo stesso numero, una dichiarazione di voto di Franco Fortini sulle politiche precedenti fortemente critica con il Pci. Una dichiarazione di voto per dir così postuma, privata, espressa “a cose fatte”- una settimana dopo – come dice appunto il titolo.

Un articolo di Franco Fortini del 10 giugno 1979 sulle elezioni politiche di una settimana prima
Un articolo di Franco Fortini del 10 giugno 1979 sulle elezioni politiche di una settimana prima

17 giugno 1984, la morte di Berlinguer, il sorpasso

Le elezioni europee del 1984 si svolsero il 17 giugno. Ai 9 paesi della tornata precedente si aggiunse la Grecia, e poi, nel 1987, anche Spagna e Portogallo. Anche stavolta le elezioni furono vinte dal gruppo Socialista con 130 seggi, davanti al Partito Popolare Europeo che ne ottenne 110.

In Italia il Psi è al culmine. A Palazzo Chigi siede Bettino Craxi, primo presidente del consiglio socialista della storia del nostro paese, e al Quirinale c’è il partigiano socialista Sandro Pertini.

Il manifesto prese atto che non c’era grande partecipazione attorno al voto europeo, nonostante la questione allora gravissima degli “euromissili” (in parte attuale ancora oggi con la guerra in Ucraina). Tuttavia in un editoriale non firmato (Le urne e noi) invitò lettrici e lettori a non minimizzare la posta in gioco. Per una serie di ragioni:

“La prima che tutte le comprende, forse la sola sulla quale siamo tutti concordi, al nostro interno, è la necessità di far saltare il pentapartito, che è oggi qualcosa di più di uno schieramento di maggioranza, e anche qualcosa di più di una politica socialmente iniqua e aggressiva. È una macchina di potere che blocca la democrazia e ne alimenta la degenerazione e la possibile dissoluzione, rispecchiando e incoraggiando le spinte peggiori che percorrono la società”.

Degni di nota i ben due corrispondenti del manifesto a New York di quell’epoca. Due giornalisti importanti che in seguito hanno preso altre strade: Lucia Annunziata e Gianni Riotta.

Il manifesto – che pure non è mai stato “anti-socialista”, stavolta schiera il Psi – come in effetti è – tra i partiti di maggioranza, quindi un avversario.

“Dunque un voto, quasi come presupposto di ogni futuro discorso, che sia tutto di opposizione, conforme alle battaglie di questi mesi, e di arresto o freno alla crisi in atto della democrazia.

Non c’è molto da confondersi, all’opposizione ci sono poche minoranze, come Dp e i radicali, che su singole questioni rilevanti hanno posizioni meritevoli, e c’è il Partito comunista, vorremmo dire il partito di Berlinguer, che è tante cose ma per noi è soprattutto la sua base di massa. (…)  

Un voto forte, comunista e di opposizione, renderà più esigenti e meno eludibili le attese del popolo di sinistra, la sua aspirazione a una svolta”.

E invitando a sostenere la sinistra di opposizione, non mostra il pollice verso al Pci berlingueriano, alle prese con forti difficoltà dopo la morte tragica del segretario comunista dopo un comizio a Padova, l’11 giugno 1984.

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La copertina del manifesto del 12 giugno 1984 sulla morte di Enrico Berlinguer
La copertina del manifesto del 12 giugno 1984 sulla morte di Enrico Berlinguer

E poi, in un clima incerto e cupo, arriva il sorpasso.

La copertina del manifesto del 19 giugno 1984, il Pci sorpassa la Dc alle europee
La copertina del manifesto del 19 giugno 1984, il Pci sorpassa la Dc alle europee

Scrive Rossana Rossanda nel suo editoriale (Alcuni segni certi):

“In Italia c’è un dato storico: il Partito comunista è il primo partito. La eccezionalità sta non solo nel fatto che non esiste ormai altro partito comunista in occidente che non sia forza minore e minoritaria, ma che quello 0,3 di punti in più della Dc, e la tendenza a crescere, spezzano la cappa che ci pesa addosso dal 1948: una Democrazia cristiana sempre prima, sempre in testa, sempre convinta di essere l’alfa e l’omega del paese”.

La lettura di Rossana è netta: Il Pci ha vinto perché “è passato all’opposizione e su dati semplici, che funzionano per tutta l’Europa, contro l’impianto dei missili e contro le politiche recessive e antinflazionistiche”.

Luigi Pintor (in Bel colpo) lo scrive in modo fulminante, degno di twitter:”Il consenso non poggia su missili e recessione”.

Luigi Pintor, 19 giugno 1984
“Il consenso non poggia su missili e recessione”

Oltre alla Dc, l’altro grande sconfitto del voto è Craxi, del quale il manifesto auspica una svolta. Scrive Rossana:

“Dura, interessante e, noi crediamo, feconda la battuta d’arresto socialista: il messaggio di Craxi era lo sfondamento a sinistra e a destra, in nome d’un decisionismo che doveva premiare l’efficienza e la modernità capitalistica a spese dei salariati, e d’una visione della governabilità che mandava a dire alle assemblee elettive di accucciarsi, se no si mettevano a terra con i voti di fiducia.

Questa scelta, il «craxismo», è stata battuta e ci auguriamo che Craxi e il Psi lo capiscano: perché il partito socialista non è stato distrutto, e può far pesare diversamente quella forza che gli danno la crisi democristiana e quella dei laici”.

Quanto di questo Craxi viva ancora nei partiti di oggi e nel Pd (da Renzi in su) lo lasciamo a lettori e lettrici.

Il Pci è alle prese con la difficilissima successione a Berlinguer (sceglierà poi come nuovo segretario Alessandro Natta). E il manifesto lo invita a collocarsi all’opposizione, senza ambire a rientrare nell’orbita del governo o della maggioranza.

Lo invita a stare “a sinistra, non con i padroni né con la Nato”, perché nella crisi italiana “sta bene una grande forza d’opposizione, che dall’opposizione si dirigono processi politici e sociali profondi e duraturi, si minano le prepotenze padronali”.

Degno di nota, a pagina 6, il resoconto divertito di Rossana Rossanda sulla sua partecipazione a una tribuna elettorale.

Rossana Rossanda racconta la sua partecipazione a una tribuna elettorale sul manifesto del 19 giugno 1984
Rossana Rossanda racconta la sua partecipazione a una tribuna elettorale sul manifesto del 19 giugno 1984

18 giugno 1989, trionfo socialista

Le elezioni europee del 1989 si svolsero tra il giugno ed il luglio 1989. Rispetto alle precedenti consultazioni, in questa tornata erano chiamati alle urne contemporaneamente agli altri paesi anche spagnoli e portoghesi. Le elezioni video il trionfo del gruppo Socialista con 180 seggi, davanti al Partito Popolare Europeo che ne ottenne 121. Per la prima volta si costituisce nell’europarlamento il gruppo ambientalista dei Verdi.

E’ l’epoca di Thatcher e Reagan, dell’apice occidentale e della crisi irreversibile del blocco sovietico, destinato a crollare nei successivi due anni insieme, in Italia, al sistema dei partiti nato nel 1948.

L’Est è in ebollizione e il manifesto segue con attenzione il caso polacco e i movimenti in Germania. La segreteria di Gorbaciov a Mosca lancia nuovi segnali. Non tutto è perduto, in quel momento. Anzi, i socialisti vanno benissimo, avanzano soprattutto in Spagna e i laburisti in Gran Bretagna infliggono la prima sconfitta elettorale alla “Lady di ferro”.

Il manifesto spera, contro le destre neoliberiste: Facciamogli un po’ male.

Luigi Pintor, commentando il voto, è soddisfatto, con misura esprime un senso di sollievo (Gli abbiamo fatto male):

“Niente euforia, niente propaganda, niente esercizi sulle frazioni di punto. Ma perbacco, mentre una ventata d’aria fresca sembra percorrere l’Europa, questo voto italiano ha un valore eccellente e profondo.

Mai perdere la fiducia nella gente: c’è una buona parte di questo paese, della nostra società, una parte (potenzialmente) maggioritaria, che non accetta lo stato di cose esistente anche quando deve subirlo, e che ha un’intelligenza e una convinzione democratica capace di battere in campo aperto le oligarchie al potere”. 

La copertina del manfiesto del 20 giugno 1989 sulle elezioni europee
La copertina del manifesto del 20 giugno 1989 sulle elezioni europee

12 giugno 1994, vince Berlusconi, buonanotte

Le elezioni europee del 1994 si tennero nei 12 stati membri dell’Unione europea nel mese di giugno. Ci fu un aumento dei seggi dell’europarlamento a 567 membri ma l’affluenza calò al 57%. A vincere il voto ancora una volta il gruppo del Partito socialista, con 198 seggi contro i 156 del Partito Popolare Europeo (che nel frattempo si unì con i Democratici Europei), ma perde la maggioranza.

L’Europa inizia a somigliare a quella che conosciamo: nel 1992 viene approvato il Trattato di Maastricht. Arafat e Rabin firmano gli accordi di Oslo tra Israele e Palestina e l’Ira firma uno storico cessate il fuoco contro la Gran Bretagna. Ma la guerra insanguina il mondo, dal 1991 nella ex Yugoslavia e nel 1993 in Kuwait e Iraq, invaso dagli Stati uniti di George Bush senior.

Il 25 dicembre 1991 finisce l’Unione sovietica.

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Non sventola più

Per l’Italia, tuttavia, la notizia di quei primi anni Novanta fu il trionfo di Silvio Berlusconi, che aveva creato il suo partito, Forza Italia, soltanto pochi mesi prima, il 26 gennaio 1994.

La copertina del manifesto del 12 giugno 1994 sulle elezioni europee
La copertina del manifesto del 12 giugno 1994 sulle elezioni europee

Evaporati per sempre i grandi partiti di massa che hanno fondato la Repubblica. Dc, Pci, Psi… alle urne si presentano sigle nuove, inesistenti alla tornata elettorale precedente.

Il Pci – crollato il Muro di Berlino – è diventato il Pds, Dc e Psi – piegati da Tangentopoli – si sono divisi in mille rivoli. Anche l’Msi non esiste più, traghettato in An e alleato con Silvio Berlusconi insieme alla formidabile Lega Nord secessionista di Umberto Bossi.

Il sommario del manifesto alla vigilia del voto è semplice, difensivo ma non beneaugurante:

“Un voto alla sinistra perché l’Europa non sia simile all’Italia e l’Italia non sia simile a Forza Italia”.

Non accadrà. La destra è maggioranza assoluta.

Forza Italia è il primo partito con il 30,6% dei voti. Il Pds è ben sotto il venti, al 19%. An è terza con il 12%. Il Ppi (principale erede della Dc) è al canto del cigno con il 10%. Poi Lega al 6,5% e Rifondazione comunista (uscita dal Pci dopo la svolta) al 6%.

Le copertine del manifesto di quei giorni tumultuosi sono celebri e drammatiche.

Achille Occhetto si dimette e il Pds si avvita in una crisi via via senza fine, fino al futuro sbocco nell’Ulivo prodiano e al Pd (senza la s di sinistra) di oggi.

Se hai letto fin qui, non mollare.
Leggi anche la seconda parte, dal 1994 al 2024.