Il commento della settimana Filippo Barbera | Un dato importante delle recenti elezioni che hanno visto la vittoria del partito laburista inglese è il “gradiente di classe”. Il Labour ha ottenuto la quota di voti più bassa di sempre nelle aree svantaggiate e la più alta nelle aree più benestanti. Il risultato è stato, appunto, un drammatico appiattimento del “gradiente di classe” del consenso elettorale.
Va subito messo in chiaro che questo risultato parla della vittoria del Labour, non della sua sconfitta. Può essere infatti interpretato come un effetto collaterale di una tattica efficiente: i margini più ampi dei seggi più sicuri sono stati compressi, mentre la crescita dei voti nelle aree più ricche ha strappato seggi decisivi ai Tories. Ciò è stato reso possibile dall’inconsistenza del partito conservatore, che segna il più basso favore elettorale della sua storia, nonché dall’avversione dell’elettorato per l’incompetenza dimostrata dai precedenti premier, dall’instabilità e vacuità della leadership politica Tories, dalla delusione post-Brexit e, infine, da una disastrosa campagna elettorale che ha affossato un partito conservatore a pezzi. Si tratta quindi di un margine guadagnato in modo intelligente massimizzando i voti date le regole del gioco elettorale e in presenza di un avversario debolissimo, che ha perso terreno nelle sue roccaforti storiche. Una vittoria, potremmo dire, per reazione e tattica, più che per progetto e strategia. Certamente non una vittoria costruita su una politica di classe e che, in presenza di una offerta politica conservatrice più credibile, potrebbe scomparire improvvisamente.
Del resto, è anche vero che nel programma Labour sono presenti importanti elementi per una politica economica inclusiva e redistributiva, utile per guadagnare il voto delle classi sociali poste ai piani bassi della stratificazione sociale e di quelle aree del Paese segnate dal declino economico e sociale. Tra questi elementi, tre sono particolarmente importanti e chiaramente identificabili con figure di primissimo piano del nuovo governo, a partire da Starmer stesso. Il primo è un ruolo propulsivo dello Stato nell’identificare missioni collettive, con massicci investimenti pubblici e una politica industriale capace di catalizzare gli attori economici verso obiettivi sinergici e ambiziosi. Il programma, come dichiarato da Starmer, si è ispirato alle idee dell’economista italo-americana Mariana Mazzucato, che subito dopo le elezioni ha dichiarato che il ricorso alle “missioni”, da solo, non è sufficiente. Occorre cambiare il modo di funzionare dello Stato, dotandolo delle risorse necessarie, umane, organizzative ed economiche, senza appaltare le grandi scelte alla finanza e alle grandi corporation.
Il secondo elemento rimanda alla figura e alla storia di Rachel Reeves, nuova ministra delle finanze del governo britannico. Prima donna a ricoprire questo ruolo, la Reeves è stata autrice di un pamphlet dal significativo titolo: “L’economia della vita quotidiana” (The Everyday Economy), dove si sostiene che la politica economica deve tornare a preoccuparsi di quei beni e servizi, magari poco glamour, importanti per la vita quotidiana delle persone. I trasporti, la sanità, l’assistenza sociale, l’istruzione, i servizi di pubblica utilità, i settori a bassa produttività e a basso salario, il piccolo commercio e la distribuzione alimentare. Beni e servizi distrutti da decenni di gestione finanziarizzata e privatizzata o che ha applicato ciecamente i principi della competizione a settori che necessitano di altri sistemi di regolazione.
Infine, il terzo elemento è rappresentato da Angela Rayner – altra figura cruciale del governo Starmer – nuova responsabile delle politiche per la casa, delle comunità e del governo locale, con particolare attenzione ai “luoghi che non contano”, come li he definiti il geografo Andrès Rodriguez-Pose. Luoghi che hanno conosciuto la crescita delle diseguaglianze sociali, economiche e di riconoscimento, territori marginalizzati da una visione tutta e solo concentrata sul potenziale innovativo della classe creativa nelle grandi città, sui servizi finanziari e sull’alta tecnologia. Un messaggio importantissimo in un Paese dove le diseguaglianze spaziali hanno creato le condizioni per la rabbia e il risentimento. Fenomeno, del resto, che ha ormai contagiato moltissimi altri Paesi, dalla Francia agli Stati Uniti.
Buoni propositi programmatici, che richiedono un attento presidio attuativo. La concreta esecuzione di queste e altre misure programmatiche sarà infatti decisiva per recuperare quel consenso diminuito tra le classi sociali in sofferenza e prive di un orizzonte di futuro, così come nelle aree in declino dove la speranza ha lasciato il passo alla paura. Perché nulla è peggio di una grande occasione sprecata, come la storia politica italiana ci insegna fin troppo bene. |