Un governo che utilizza i poteri dello stato, dalla polizia ai giudici, passando per ministri e sottosegretari, per spiare avversari politici in cerca di delitti che possano ostacolarne il successo elettorale. E che, in combutta con i principali mezzi di comunicazione, decide di spargere notizie false per gettare il discredito e la calunnia.
Stiamo parlando di Spagna, del governo di Mariano Rajoy, predecessore di Pedro Sánchez, e di quello che sta venendo fuori rispetto alla guerra sporca combattuta negli anni contro Podemos. È accaduto quando i poteri forti hanno capito che il nuovo movimento nato dalle ceneri degli indignados era vicino a toccare il potere. Quando nelle elezioni del 2015 e poi del 2016 Podemos e i loro alleati hanno superato i 70 seggi. Rajoy, non senza difficoltà e una polemica astensione di parte del Psoe, riuscì a essere nuovamente eletto. Ma tra il 2015 e il 2016, anche se con un governo dimissionario, il solo fatto che il Psoe e Podemos stessero conversando sulla possibilità (poi naufragata) di formare un governo aveva messo in allerta il Pp.

Il segretario di stato di Sicurezza, numero due del ministero degli Interni, scriveva su Whatsapp a uno dei capi della polizia chiedendo notizie circa le ricerche fatte sui deputati di Podemos. Dalle conversazioni emerse da un’altra indagine (sui mezzi illeciti impiegati dal Pp per impedire che il loro tesoriere parlasse ai giudici) si evince che era in corso una ’operazione sistematica negli archivi della polizia di tutti i deputati di Podemos alla ricerca di qualcosa a cui inchiodarli, e che la ricerca non stava dando frutti. «Non è che questo fosse un merito particolare – spiega l’ex segretario di Podemos Pablo Iglesias al manifesto -. Era per la nostra provenienza sociale. Che delitto vuoi trovare in gente che viene dall’attivismo studentesco o dai movimenti?».

Secondo i dati ora in mano al giudice dell’Audiencia Nacional Santiago Pedraz, i file dei deputati di Podemos erano stati aperti quasi 7mila volte fra il 2015 e il 2016 da 2.700 agenti in 57 commissariati in tutto il territorio nazionale. Un dispiegamento colossale, su cui il giudice ora vuole vedere chiaro, perché i dati che gli sono stati forniti non danno tutti i dettagli su chi ha effettuato le ricerche e perché. «Anche se leggendo i giornali non sembra, credo che questo è più grave del Watergate – prosegue Iglesias -. Parliamo di strutture dello stato al massimo livello che si dedicano a fare indagini prospettiche, totalmente illegali. Ci sono conversazioni in cui si chiede qualsiasi cosa che possa incriminarci».

Il problema è che queste indagini finivano tutte puntualmente ai giornali. Secondo l’ex leader viola, la prova del nove che molti giornalisti erano conniventi è che ora che emergono prove di questa guerra sporca, «gli stessi giornali e le stesse televisioni che dedicavano ore a distruggerci non stanno dicendo nulla». Solo El País e eldiario.es hanno dato un po’ di visibilità al tema. Il governo Rajoy era arrivato a offrire aiuto e protezione a ex politici venezuelani a patto che avallassero documenti falsi per «dimostrare» che Podemos riceveva fondi neri da Hugo Chávez. Settori della cosiddetta «polizia patriotica» costruivano rapporti falsi, come l’infame Pisa (Pablo Iglesias Sociedad Anónima) sempre del 2016, in cui si accusava Iglesias e Podemos di ricevere soldi dall’Iran. A fine 2015 era stato rubato misteriosamente il telefono dell’assistente parlamentare dell’allora eurodeputato Iglesias e il suo contenuto era finito poco dopo nelle mani di giornalisti senza scrupoli.

A forza di insistere, nell’opinione pubblica il dubbio rimane. «L’obiettivo non era metterci in carcere. Era distruggere la nostra reputazione. Se ne sono approfittati sia il Psoe, sia quelli che hanno lasciato Podemos e ora sono in Sumar. Sapevano che se abbandonavano le nostre posizioni politiche sarebbero stati salvi da questi attacchi a mezzo stampa». Nota Iglesias che né Psoe né Sumar si azzardano ad attaccare il più potente fra questi giornalisti, Antonio García Ferreras, presentatore e massimo dirigente della rete La Sexta, nel mirino di Podemos dopo che sono venute alla luce prove della sua manipolazione contro i viola. «Sapevamo che la democrazia è un sistema limitato e truccato. Hanno rinunciato alla loro stessa legalità per combattere contro di noi. Non giustifico, ma posso capire che alcuni settori dello Stato credessero che contro il terrorismo o contro chi voleva l’indipendenza della Catalogna vale tutto e si può forzare la legge. Ma noi abbiamo sempre puntato a trasformare la società nella più stretta legalità».

Vale la pena continuare a lottare? Iglesias ha montato una sua rete, Canal Red, e un suo giornale, Diario Red, e da quel fronte combatte la «mafia mediatica». «Non credo ci saranno conseguenze giuridiche – dice Iglesias – né per i politici né per i giornali. L’Italia è stato un paradigma della guerra sporca. Gladio, Cossiga, i servizi segreti deviati. I carabinieri a Genova nel 2001 sotto Fini. Il paese di Berlusconi. Il rischio è lì ma non vuol dire che si chiudono le strade per altri cammini più desiderabili».