I massimi vertici della magistratura spagnola sono di nuovo entrati a gamba tesa nell’arena politica. Essendo ormai impossibile porre ostacoli all’approvazione della legge d’amnistia, in Gazzetta da più di un mese, ora iniziano a mettere in discussione la sua interpretazione. In una decisione dall’enorme impatto giuridico e politico, ieri i giudici del Tribunale supremo hanno stabilito che non è possibile applicare questa legge ai beneficiari di più alto livello politico, fra cui l’ex presidente catalano Carles Puigdemont, che vive all’estero dal 2017 per non essere arrestato, e l’ex vicepresidente Oriol Junqueras, condannato a un’altissima pena di prigione (già indultata), ma per il quale vige ancora l’interdizione dai pubblici uffici fino al 2031.

Secondo i giudici, non si può annullare l’ordine di cattura per Puigdemont, come impone la legge, perché ci sarebbe stato un «motivo di lucrarsi» in uno dei delitti di cui è accusato, cioè quello del peculato (sottrarre fondi pubblici per fini privati). In questo caso, utilizzare il denaro pubblico per organizzare il referendum di autodeterminazione catalano del 2017.

L’interpretazione dei magistrati – che volutamente ignorano l’esplicita volontà del legislatore – è che indipendentemente dal fatto che non abbiano intascato i soldi, comunque si tratta di sottrazione di fondi pubblici ai cittadini. Anche se la legge approvata dal parlamento prevede che in questo caso si debba amnistiare.

Non basta: i magistrati, con una maggioranza di cinque contro uno, accusano il parlamento di aver legiferato troppo in fretta, di essere accondiscendenti con il delitto e di aver scritto un testo di difficile interpretazione. In più, argomentano pindaricamente, i delitti di cui sono accusati non sono amnistiabili perché generano un pericolo finanziario per la stessa Unione europea: l’eventuale indipendenza avrebbe privato l’Europa di risorse, sostengono.

La cosa paradossale è che la settimana scorsa un altro tribunale, di minore rango, aveva applicato l’amnistia per lo stesso delitto a un altro ex ministro del governo catalano, Miquel Buch, che però oggi non ha la visibilità e il peso politico che hanno Puigdemont e Junqueras, che vogliono invece tornare protagonisti della politica catalana. Con questa decisione il ritorno di Puigdemont per il voto di investitura in Catalogna si fa impossibile.

E intanto, la Giunta elettorale centrale spagnola, proprio come cinque anni fa, rimette i bastoni fra le ruote all’unico eletto in Europa di Junts, il partito di Puigdemont: l’ex ministro catalano Toni Comín. Proprio come accadde nel 2019 per Puigdemont, Comin non è andato a firmare in persona l’atto di elezione a Madrid. Per Puigdemont e altri (fra cui lo stesso Comín) dovette intervenire una sentenza della Corte europea di Giustizia e l’allora presidente del Parlamento Europeo, David Sassoli, per permettergli di prendere possesso del seggio (sette mesi dopo l’avvio della legislatura).