Questione di coerenza. È la parola che per ore rimbalza da una dichiarazione all’altra dei Fratelli e alla fine la usa anche la premier, per spiegare il no alla candidata Ursula: «Siamo coerenti con la posizione di non condivisione nel metodo e nel merito». Ma il voto, mette subito le mani avanti, «non comprometterà la collaborazione tra governo italiano e Commissione» e neppure «il ruolo dell’Italia nella prossima Commissione». In realtà sono moltissimi quelli che temono invece una penalizzazione secca e il primo è proprio Raffele Fitto, che aveva insistito, non in via del tutto disinteressata, per una scelta opposta.

A fattaccio consumato fa sapere che senza deleghe adeguate non accetterebbe il posto di commissario. Ma è probabile che invece la premier abbia ragione: le forze che hanno voluto umiliare Meloni ed estrometterla da qualsiasi decisione volevano colpirla in quanto leader della destra, non in quanto premier italiana, senza contare che nessuno vuole fare sgarbi a Mattarella. Il Commissario italiano forse non avrà le deleghe fantasmagoriche che sognava Meloni ma non sarà neppure di serie B.

Lo stato maggiore di FdI è rimasto indeciso e diviso fino all’ultimo sul voto. La paroletta magica, «coerenza», ha iniziato a circolare proprio nel dibattito che ha portato alla sofferta scelta. Molti dirigenti hanno impugnato appunto la necessità di essere coerenti: «Avevamo detto mai con i socialisti e ora non possiamo votare con loro dopo che non ci è stato dato niente». Argomenti ai quali l’amico Tajani, dall’esterno, suggeriva di non prestare orecchio: «Di coerenza si muore». Il leader azzurro, che si è detto soddisfattissimo per una posizione della presidente rieletta sul Green Deal opposta a quella che chiedeva lui, è un esperto in materia.

La redazione consiglia:
Dublino, assalto al centro migranti

In realtà quello di Meloni era un passo quasi obbligato. FdI ha sperato fino all’ultimo in qualche paroletta della candidata che permettesse di votarla. Ma von der Leyen si è resa conto che provare a tenersi in equilibrio avrebbe significato rischiare molto di più e ha sterzato decisamente in direzione dei Verdi, senza i quali, in effetti, non ce l’avrebbe fatta. I loro voti non sono aggiuntivi ma determinanti e ciò rende la sconfitta già pesante della premier molto più dura. La nuova commissione sarà sbilanciata rispetto alla precedente ma, almeno per il momento, verso sinistra e non, come progettava e prevedeva Meloni, sul versante opposto. I Verdi non tarderanno a reclamare il saldo e Ursula sa di aver contratto un grosso debito: «Sono grata ai Verdi. Lavorerò con coloro che mi hanno sostenuta e che sono pro-Ue, pro-Ucraina, pro-Stato di diritto».

FdI, pur riconoscendo apertamente la sconfitta, come fa il capodelegazione Procaccini, si consola con la speranza che le divisioni tra i partiti di questa nuova maggioranza Ursula riaprano ampi spazi nel prossimo futuro. Non è escluso ma oggi la realtà è un’altra: la premier che si immaginava protagonista e perno dei nuovi equilibri europei è di nuovo una underdog tenuta alla larga dai salotti dove si prendono le decisioni, spinta al confine del ghetto in cui sono isolati quegli «estremisti che vogliono distruggere l’Europa ma io non lo permetterò», come grida una battagliera von der Leyen. È l’opposto esatto dell’obiettivo perseguito sin dall’ingresso a palazzo Chigi e dunque non si tratta solo di una battuta d’arresto. È una sconfitta strategica. La principale dalla vittoria del 2022 in poi.

La maggioranza non è mai stata così divisa. La Lega gongola. Crippa mitraglia «lo schifo antidemocratico» ed esalta la «schiena dritta di Salvini e Meloni il cui asse rimane forte»: probabilmente mai complimento fu meno gradito e mai fu pronunciato con maggiore malizia. Salvini si scatena contro chi «propone guerra, clandestini e auto cinesi», rivendica il no «all’inciucio con le sinistre» e la «difesa degli italiani». Se una paura ha influenzato la scelta della premier è stata proprio quella di farsi scippare dall’alleato la bandiera della difesa della Nazione. Tajani, invece non frena il disappunto e si lascia scappare un commento al cianuro: «In Europa le forze in contrasto con la maggioranza sono ininfluenti». Allude ai Patrioti ma la sferzata sfiora anche Giorgia.

Cinque anni fa la divisione dei gialloverdi nel voto su von der Leyen portò al crollo di quella maggioranza. Stavolta non sarà così. Ma pensare che una sconfitta di tale portata resti priva di conseguenze e non renda la premier più debole sarebbe fuori dalla realtà.