Europa

Commissione Ue, comunque sia sarà un insuccesso

Giorgia Meloni e Raffaele FittoGiorgia Meloni e Raffaele Fitto – LaPresse

Unione europea Situazione complicata sulle vicepresidenze, tutto congelato fino al 20 novembre, quando Ribeira riferirà di fronte al Parlamento spagnolo sulla défaillance di Valencia. Fitto chiede l’aiuto di Mattarella

Pubblicato circa un'ora faEdizione del 15 novembre 2024

Non è che la seconda maggioranza Ursula, quella allargata ai Verdi che ha votato nel luglio scorso la rielezione di von der Leyen, stia morendo. Non è mai nata. Anche se, grazie a qualche gioco di prestigio, la Commissione passasse fortunosamente il voto dell’europarlamento, fissato per il prossimo 27 novembre, sarebbe solo una nuova finzione. Proprio come era finta l’alleanza di luglio.

A BRUXELLES il muro contro muro tra popolari e socialisti, impegnati in progetti strategici opposti e confliggenti, ha paralizza tutto e mette a fortissimo rischio la sorte della Commissione. I socialisti insistono nel chiedere un voto collettivo sui cinque vicepresidenti espressione dei partiti “di maggioranza” e uno separato sul sesto, l’“estraneo” Raffaele Fitto, che verrebbe promosso come commissario ma senza vicepresidenza. I popolari, un po’ come contromossa preventiva, un po’ perché trascinati dalla loro delegazione spagnola, revocano in dubbio il nome della testa di serie della delegazione socialista, Teresa Ribeira, commissaria al Green Deal e ministra uscente dell’Ambiente nel suo Paese, accusata di corresponsabilità nel disastro di Valencia. Muro contro muro e ogni tentativo di ricomposizione è andato a vuoto.

Tutto resterà congelato fino al 20 novembre, quando Ribeira riferirà di fronte al Parlamento spagnolo sulla défaillance di Valencia, come hanno imposto i popolari. Poi, nel pomeriggio, i capigruppo di Strasburgo dovrebbero riunirsi e chiudere la partita delle audizioni. Se non si sarà trovata una soluzione allo scontro in atto, e al momento non si vede via d’uscita possibile, la riunione slitterà e si terrà a ridosso della plenaria col voto sulla Commissione del 27 novembre. La situazione è ulteriormente complicata dal caso del commissario ungherese Varhelyi, la cui audizione non ha raggiunto i due terzi dei voti in commissione e intorno al quale è necessario un supplemento di trattativa.

MESSE COSÌ LE COSE, però, non si capisce affatto il vero senso dello scontro in atto e della sua effettiva importanza. Quale sia quel senso è in compenso chiarito sin nei dettaglia dal dramma del voto in aula di ieri. I popolari hanno votato, non per la prima volta, con l’intera area dei gruppi di destra per depotenziare al massimo la legge sulla deforestazione. A differenza dei voti precedenti, in particolare di quello sul Venezuela, la deforestazione è una legge nevralgica e strategica, essenziale per i verdi ma anche per i socialisti. Il contesto, cioè lo scontro sulla Commissione, lo rendeva ancora più delicato e significativo. Il Ppe non ha esitato lo stesso a votare con la destra contro i suoi presunti alleati.

LE ARGOMENTAZIONI sul segnale minaccioso inviato ai socialisti per ammorbidirli sul fronte vicepresidenze, per quanto non del tutto infondate, sono ingannevoli. La realtà è che sul Green Deal, come sull’immigrazione, esiste una convergenza reale e profonda tra le posizioni del Ppe e quelle della destra, incluse le sue ali più radicali, i Patrioti di Orbàn e persino i Sovranisti della Afd. L’inganno di luglio è tutto qui. I Popolari avevano già deciso, e non ne facevano mistero, di voler virare a destra. L’onda che sta montando in tutto l’occidente certo non li spinge a ripensarci e infatti non ci hanno ripensato.

Al contrario a Strasburgo formano già una maggioranza ombra con la destra, in attesa di passare a governi in piena luce nei singoli Stati. Con l’Italia, dove già lo fanno, come luminosissimo modello. I socialisti puntavano al contrario esatto: a costruire una barriera dietro la quale provare a organizzare l’ultima difesa di fronte a un’offensiva che li costringe ad arretrare sempre più. Entrambi i partiti erano perfettamente consapevoli delle rispettive posizioni e della loro incompatibilità. Hanno solo fatto finta di non vedere quel che era macroscopico per i pochi giorni necessari a eleggere von der Leyen. Non è mai una buona idea, in politica.

NON SIGNIFICA che il 27 novembre la Commissione von der Leyen bis non vedrà la luce. Come dice la presidente Metsola «Abbiamo tempo» e dai corridoi di Bruxelles forse salterà fuori qualche magico coniglio. Fitto, poi, è andato a chiedere l’aiuto di Sergio Mattarella e se si spenderà il presidente, all’estero tanto rispettato quanto ascoltato, qualche effetto lo potrebbe ottenere. Ma il risultato non cambierebbe. La neonata Commissione sarebbe di costituzione fragilissima. La maggioranza resterebbe una barzelletta. La rotta del Ppe rimarrebbe quella vista ieri: barra a destra.

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