Ppe-estreme destre, ancora insieme sulla deforestazione
Unione europea La maggioranza Ursula alternativa (dai Popolari a Afd) regge alla prova del voto che affossa uno dei capisaldi del Green Deal. Era già successo almeno tre volte: sul Venezuela, con gli emendamenti sul bilancio e il premio Sacharov
Unione europea La maggioranza Ursula alternativa (dai Popolari a Afd) regge alla prova del voto che affossa uno dei capisaldi del Green Deal. Era già successo almeno tre volte: sul Venezuela, con gli emendamenti sul bilancio e il premio Sacharov
Mentre continua lo stallo nella trattativa sul von der Leyen II, arrivata vicino alla rottura sul nome di Raffaele Fitto, la maggioranza Ursula scompare. Al suo posto un’alleanza in cui è il Partito popolare europeo a fare da perno di un asse con l’estrema destra.
L’occasione è il voto, tenuto durante la sessione minipleanaria di Bruxelles, sulla proroga di un anno proposta dalla Commissione Ue per l’applicazione legge sulla deforestazione, provvedimento chiave del Green Deal europeo.
La versione approvata ieri della legge sulla deforestazione, che appare depotenziata rispetto all’originale, passa con il favore di tutti i gruppi di destra (conservatori di Ecr, patrioti orbaniani di PfE, sovranisti di Esn con dentro AfD) più il Ppe. La contrarietà arriva invece da Left, Verdi e S&D. Finisce 371 sì contro 240 no e 30 astenuti.
NON È LA PRIMA VOLTA per la cosiddetta «maggioranza Venezuela», ovvero quella tra Ppe e destre estreme, alternativa all’Ursula bis (Ppe, S&D, Renew e Verdi) che ha eletto la presidente von der Leyen a luglio. L’alleanza delle destre si era già manifestata già in diverse occasioni: nella risoluzione sul voto in Venezuela, appunto, e poi nell’assegnazione del premio Sacharov agli anti-Maduro, nel Bilancio (poi respinto nel voto finale) così come nell’approvazione del calendario delle audizioni di conferma per i commissari. È però certamente la prima volta che un voto di tutte le destre plasma un provvedimento legislativo, tra l’altro di così notevole impatto e valenza politica.
A colpo d’occhio, l’emiciclo appare diviso lungo il novecentesco crinale destra-sinistra (in realtà, non usuale nelle logiche di Große Koalition praticata a Bruxelles), se non fosse per la spaccatura interna a Renew.
Poco prima del voto, il capogruppo Ppe, Mafred Weber, aveva annunciato il ritiro di una parte degli emendamenti presentati dal suo partito, che erano finiti nel mirino di progressisti e Verdi perché accusati di snaturare il provvedimento, come «segnale di buona volontà» nei confronti di Verdi, S&D e liberali di Renew, proprio mentre la maggioranza Ursula è ai ferri corti.
Tra le concessioni, il ritiro della proroga dell’applicazione del provvedimento non di 12, ma di 24 mesi e lo stralcio delle esenzioni al settore commerciale. Quest’ultima soprattutto avrebbe di fatto annullato il valore del regolamento che impone la tracciabilità su materie prime come olio di palma, carne bovina, legno, caffè, cacao, gomma e soia in modo da garantire che non provengano da terreni che sono stati oggetto di deforestazione.
Il bel gesto del leader democratico-cristiano, frutto in realtà di una trattativa con Renew, incorporava un doppio scopo tattico.
Il primo era cercare consensi tra i progressisti, che ha in effetti ottenuto da parte dei liberali, soprattutto della componente tedesca, e che per questa ragione risultano divisi nel voto finale.
Il secondo era provare a evitare di mostrarsi gomito a gomito con l’estrema destra tedesca di AfD, nel momento in cui la Germania è piombata già nella campagna elettorale in vista del prossimo voto anticipato di febbraio.
IL BLUFF DI WEBER – che, va ricordato, oltre a essere leader popolare è esponente di punta della Csu tedesca – sembra però fallito. Nel corso della votazione, sono stati approvati con il consenso decisivo dell’estrema destra un gruppo di emendamenti particolarmente controversi perché introducono la categoria di paesi a «rischio zero» deforestazione. Sotto la nuova etichetta, si esentano dalla tracciabilità delle merci tutti quegli stati che rispettano una serie di criteri, giudicati aggirabili o comunque troppo permissivi secondo ong e ambientalisti.
Un altro esempio di come il Ppe abbia preso di mira il Green Deal e minato gli sforzi dell’Ue sul clima. Chiediamo alla Commissione di ritirare la sua proposta Gruppo S&D
Al netto delle promesse del leader popolare Weber, la legge risulta comunque snaturata. Per questo Verdi e S&D ne chiedono il ritiro da parte della Commissione: «Il Ppe ha eroso la credibilità dell’Ue nella lotta alla deforestazione, alla perdita di biodiversità e al cambiamento climatico», denuncia Delara Burkhardt, negoziatrice S&d sul provvedimento.
Esulta e si intesta la vittoria, al contrario, il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida: «Una grande vittoria per l’Italia che, insieme a molti altri governi di matrice politica diversa, aveva proposto di rinviarne l’applicazione poiché avrebbe causato effetti devastanti sulla produzione e trasformazione agricola».
MA AL DI LÀ degli entusiasmi sul voto di ieri – che dovrà ancora essere confermato nelle prossime settimane con il «trilogo» fra Parlamento, Consiglio e Commissione e potrebbe ancora tornare alla versione precedente a quella emendata – la cifra della giornata la dà il liberale francese Pascal Canfin, quando parla di «segnale di una crisi politica in Europa», anche se non ancora consumata: «Il Ppe dovrà scegliere se allearsi con l’estrema destra o con noi».
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