Elon Musk e il nearshoring. Un amore, quello per la produzione in paesi limitrofi per abbattere i costi, che non scema neanche davanti all’Inflaction Reduction Act, il provvedimento introdotto ad agosto 2022 dal governo Biden per invogliare – tra le varie misure contenute nel pacchetto – le aziende a trasferire o riportare l’intera filiera produttiva nel paese a stelle e strisce.

Musk ci ha pensato un po’. L’idea iniziale era ridimensionare gli stabilimenti di Berlino e Shanghai per ampliare la sede di Austin, in Texas, ultimata a fine 2021. Alla fine invece, la più grande fabbrica Tesla al mondo sarà in Messico, per la precisione a Monterrey, nello stato del Nuevo León, nella cui area metropolitana vivono oltre cinque milioni di persone.

TROPPO PIÙ CONVENIENTE il costo del lavoro da quelle parti per non sfruttare l’occasione di un governo, quello guidato da Obrador, che alla fine si è arreso alle spinte del governatore del Nuevo León, Samuel Alejandro García Sepúlveda, che ha fatto letteralmente di tutto per fare in modo che Musk scegliesse Monterrey per la nuova gigafactory Tesla.

Prima – a fine ottobre – lo ha accompagnato in elicottero in un volo sopra il sito individuato per la costruzione della fabbrica, nel municipio di Santa Catarina. Poi ha pensato bene di regalare per San Valentino alla moglie Mariana Rodríguez una Tesla nuova di zecca dal valore di 3 milioni di pesos, circa 150mila euro, con tanto di foto postate sui social. Infine, ha iniziato a lavorare ai fianchi del presidente Obrador che appena due settimane fa aveva osato dire che a Monterrey una fabbrica di quelle dimensioni non si poteva costruire. Il motivo? Non c’è acqua.

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SONO DELL’ULTIMA estate le immagini di file interminabili di persone per le strade di Monterrey con le taniche vuote in mano in attesa delle autobotti. Nel 2022 sono stati in media 18 i giorni in cui nei municipi industriali le famiglie sono rimaste senza acqua. Sei quelli che hanno riguardato il centro città mentre appena 1.8 quelli che hanno colpito i quartieri residenziali e commerciali.

«Zero, invece, i giorni in cui le fabbriche sono state a secco» spiega al manifesto Antonio Hernández, biologo e storico attivista ambientalista di Monterrey. L’emergenza è iniziata nel febbraio 2022, ma solo un mese dopo, a marzo, le autorità ne hanno preso atto. Da quel momento, fino alle prime piogge di ottobre, «Monterrey ha dovuto fare i conti con la peggiore siccità della sua storia».

Guadalupe (Nuevo León), tutti in fila per l’acqua potabile foto Ansa

Ed è per questo che la prima reazione del presidente Andrés Manuel López Obrador è stata quella di stoppare l’ipotesi della costruzione di un nuovo parco industriale. Immediatamente, diversi governatori hanno provato ad accaparrarsi i cinque miliardi di dollari di investimento stanziati da Elon Musk. Tra questi Veracruz, Chiapas e Hidalgo che, nell’ordine, hanno messo sul tavolo il porto, le riserve idriche, il nuovo aeroporto.

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NIENTE DA FARE. Il fattore principale perché Tesla portasse la sua produzione in Messico è sempre stato uno: la vicinanza con gli Stati Uniti. Così anche Amlo ha ceduto al cospetto di Musk e il 28 febbraio, nel corso della settimanale conferenza stampa, ha annunciato: «La fabbrica di Tesla in Messico sarà localizzata a Monterrey. E c’è l’impegno dell’azienda a risolvere il problema della scarsità idrica».

Come? «Non voglio dare maggiori dettagli perché ci sarà un annuncio da parte di Tesla». L’occasione, secondo Amlo, avrebbe dovuto essere l’investor day di Tesla del 1° marzo ma, nonostante la presenza del governatore del Nuevo León e della sottosegretaria agli Esteri, Martha Delgado, Elon Musk non ha pronunciato una sola parola relativa alla fabbrica che non fosse «costruiremo la nostra gigafactory a Monterrey». Fine.

IN MESSICO è scattata la festa. I giornali si sono subito prodigati nel benedire l’arrivo di Tesla. Ma non tutti a Monterrey hanno salutato la notizia allo stesso modo.

Il sito scelto per la fabbrica si trova a sud-est, non lontano dal mega stabilimento Amazon. Dall’altra parte della città, in una specie di divisione geopolitica di Monterrey, sorgono invece gli impianti di Kia e Hyundai. «Nei mesi più caldi le temperature nelle zone industriali, dove vivono decine di migliaia di persone, oscillano tra i 45 e i 70 gradi. Queste isole di calore sono ovviamente causate dal cemento e dalle emissioni degli stabilimenti e non esiste nessun piano volto alla mitigazione di questi impatti» ci spiega Antonio Hernández.

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Il problema principale, come ammesso dallo stesso Amlo, è però quello relativo alla crisi idrica. A luglio del 2022 la diga di Cerro Prieto è arrivata all’1% della sua capacità, quella della Boca al 7%. Le immagini delle navi spiaggiate in mezzo al lago artificiale hanno fatto il giro del mondo così come quelle delle cariche della polizia statale contro la popolazione che protestava. «La crisi – sottolinea Hernandez – non è solo dovuta ai cambiamenti climatici e all’assenza di piogge ma alla mancata regolamentazione degli sfruttamenti idrici da parte dell’industria e del settore agricolo».

E NON CONVINCONO nemmeno le spiegazioni portate dall’autorità statali, che per accaparrarsi l’affare Tesla hanno ripetuto come solo il 7% delle acque siano utilizzate dall’industria. «Il dato è corretto se ci si riferisce a tutto lo stato del Nuevo León» spiega Hernandez, ma analizzando i consumi della zona metropolitana di Monterrey, i numeri raccontano ben altro: «L’industria e il settore zootecnico utilizzano il 51% dell’acqua a disposizione mentre il 49% è per uso umano. Ma in questo 49 c’è anche la cura delle aree verdi, la pulizia delle strade e via dicendo».

L’industria, quindi, per Monterrey è il maggiore problema quando si parla di crisi idrica. Ad aggravare la situazione, poi, un altro elemento. L’arrivo di Tesla significa lo sbarco a Monterrey di almeno un’altra decina di aziende che servono alla produzione delle auto elettriche, tra cui l’italiana Brembo, che costruiranno altri stabilimenti a ridosso della gigafactory. Per questo è difficile spiegare il repentino cambio di posizione di Obrador senza guardare al nome e al cognome del proprietario di Tesla.

ELON MUSK, da un paio di anni, è l’uomo più corteggiato dagli esponenti politici messicani, pronti a qualsiasi cosa pur di avere la produzione delle auto elettriche sul proprio territorio. Perfino a installare una corsia preferenziale per i camion Tesla alla frontiera tra il Nuevo León e il Texas. Tutti gli altri, invece, si dovranno mettere in coda.