La saga dell’acquisto di Twitter da parte di Elon Musk proprietario di Tesla (l’azienda di macchine elettriche) e Space X (l’azienda vuole fare concorrenza agli Stati e portare l’umanità su Marte), si è conclusa con il perfezionamento dell’accordo. Che prevede il pagamento di 44 miliardi di dollari per l’acquisizione del social network più amato tra i giornalisti (Giovanna Branca, «Twitter è ufficialmente di Elon Musk», il manifesto, 29 ottobre 2022). Dopo l’offerta di aprile scorso, Musk aveva pensato di aver esagerato, ma la dirigenza di Twitter lo avrebbe trascinato in una disputa legale che ha preferito evitare. La somma è molto elevata, perfino per chi siede su più di cento miliardi di dollari di patrimonio, soprattutto perché Twitter non fa profitti, ma debiti. L’ha racimolata con una cordata di investitori e per un quarto con un prestito.

La redazione consiglia:
Svastiche, insulti e l’attesa di Trump. Twitter è ufficialmente di Elon Musk

Ha dichiarato di non volerci guadagnare, ma di voler aiutare l’umanità che ama, testualmente. Al di là della somma ingente investita, della decapitazione dell’azienda, dell’annuncio di voler tagliare una porzione significativa dei lavoratori, salta agli occhi una questione più generale, che riguarda dove e come si costituisce la sfera e l’opinione pubblica nell’era dei social network.
Nel 2013 Jeff Bezos, Ceo di Amazon ha comprato il Wall Street Journal, una testata americana che ha fatto la storia del giornalismo, per una cifra inferiore all’1 per cento di Twitter: 250 milioni di dollari. Con questa mossa ha chiarito di essere il più conservatore dei tycoon del digitale: ha un business premoderno ed è convito che i giornali possano avere un valore nella definizione del discorso pubblico. Musk invece acquista Twitter, di cui è utente appassionato e nevrotico. Sulla piattaforma ha più di100 milioni di follower, o seguaci – la sua pagina ne conta 111 milioni ad oggi – di cui una sconosciuta percentuale bot.

La sfida di Musk è doppia, da un lato vorrebbe trasformare Twitter in X, una everything app, come la cinese Wechat; un’app dove si possono comprare prodotti, chattare, prenotare un passaggio, avere un portafoglio digitale, insomma, un servizio per ogni tipo di transazione. Ha anche accennato alla possibilità di offrire l’informazione priva di pubblicità, pagando un abbonamento.
Dall’altro ha in mente di cambiare la politica di moderazione, ritenendo che la piattaforma sia stata troppo censoria con la libertà di espressione. Ha annunciato che istituirà un content moderation council (una commissione per la moderazione dei contenuti) che prenderà le decisioni rispetto a censura e schermatura implicita (shadowbanning, ghostbanning, searchbanning).

In gioco c’è la circolazione di opinioni tossiche: discorso violento, teoria della cospirazione proprie dell’estrema destra, posizioni razziste, antisemite, fondate su informazioni inaffidabili. Sta diventando evidente che diversi tipi di contenuti sono ospitati su piattaforme diverse, a cominciare da 4chan, la bacheca digitale, culla delle teorie cospirazioniste e della cultura dell’alt-right, passando per Truth Social, la piattaforma che Trump si è costruito dopo essere stato estromesso da Twitter e Meta (Facebook e Instagram).

Le piattaforme non sono solo dei contenitori che passivamente ospitano qualsiasi opinione. Compiono, invece, precise scelte editoriali con le loro politiche di moderazione. Esercitano valutazioni in parte implicite, legate alla selezione dei complessi algoritmi di raccomandazione che presiedono alla visibilità dei contenuti e, in parte espressamente editoriali, producendo istruzioni dettagliate che i moderatori – una categoria oscura, ma indispensabile per ogni piattaforma – si occupano di far rispettare. Anche se non vengono esplicitati quei giudizi esistono e agiscono.
Sappiamo, inoltre, che il 90% dei contenuti di successo è prodotto dal 10% degli utenti, la ritenzione dei quali è un elemento di cruciale importanza per le piattaforme.

La decisione di acquisto di Musk, che forse è incauto – soprattutto se non riuscirà a trasformarla come sogna in una one-stop app – dimostra la consapevolezza del padrone di Tesla che è cruciale controllare le piattaforme dal punto di vista editoriale, definendo la politica dei flussi di informazioni, entrando nella stanza dei bottoni che interviene per orientare le opinioni.
Con la sua mossa, Musk ci offre forse una chiave per capire il potenziale rischio di frammentazione del mondo, dell’opinione pubblica e delle agenzie di accreditamento delle nostre credenze condivise sul mondo che tali strumenti potrebbero causare. Ci permette di comprendere che è solo un equivoco considerare le piattaforme alla stregua di infrastrutture tecniche e non organismi editoriali e politici. Ci suggerisce come dovremmo orientare le politiche internazionali di regolazione dei contenuti, e forse ci offre uno spiraglio per prevedere il futuro dell’industria editoriale, compresi i giornali, potenziali parti attive nel processo di riorganizzazione in corso.