Economia

Un fondo comune europeo per l’economia di guerra

Un fondo comune europeo per l’economia di guerraIl ministro della difesa Guido Crosetto – Ansa

Il caso La dichiarazione di Varsavia tra sei stati, tra i quali l'Italia, ha ufficializzato l'orientamento che sarà seguito dalla nuova commissione von der Leyen: armare generali e arricchire il capitalismo di guerra. Tajani parla di "Eurobond" mentre Crosetto rinnova la richiesta di dare soldi ai cannoni fuori dalle regole del patto di stabilità Ue. Si tagliano 12 miliardi alla spesa sociale, cresce solo quella militare. A Bruxelles la Nato chiede ancora più soldi

Pubblicato circa 3 ore faEdizione del 20 novembre 2024

Si taglia il sociale, cresce solo la spesa militare. È in questa prospettiva che vanno letti ieri due incontri a Varsavia e a Bruxelles. Nella capitale polacca cinque paesi dell’Unione Europea (Francia, Germania, Italia, Polonia, Spagna) e il Regno Unito si sono pronunciati per la prima volta in maniera ufficiale a favore di obbligazioni europee per finanziare l’industria militare e potenziare la partecipare europea alla corsa agli armamenti in atto. Al vertice ha partecipato il vicepremier e ministro degli esteri Antonio Tajani che ha ripescato la vecchia proposta italiana degli «Eurobond».

Pensata inizialmente per finanziare sul mercato dei capitali il bilancio europeo sostenuto dai contributi statali, oggi la proposta è declinata esclusivamente per rimpinguare l’economia di guerra dalla quale le classi dominanti ritengono possa derivare «sicurezza e pace per le democrazie». Gli altri partner europei hanno evitato di parlare di «Eurobond» perché ciò implica la creazione di un debito comune che sono in pochi a volere, anche sulle armi.

Pasquale Tridico, capo-delegazione dei Cinque Stelle al Parlamento europeo, ha denunciato il doppio standard sul quale si baserà la politica europea nei prossimi anni. Da un lato, ci saranno tagli alla spesa sociale: in Italia, nella prossima legge di bilancio, ci saranno 12 miliardi di tagli a partire dal 2025. Dall’altro lato, la spesa militare è già cresciuta (33 miliardi, + 13 solo alle armi, dice il rapporto Milex) e lo farà ancora di più nei prossimi anni. «Il sistema ferroviario è un giorno in tilt e l’altro pure – ha detto Tridico – le scuole cadono a pezzi ma la priorità della destra è quella di impegnare miliardi per le politiche di difesa. Meloni chiarisca».

Non è solo la «destra» a volere l’aumento dell spese militari. Anche i socialisti spagnoli e inglesi sono sulla stessa linea. Si sta usando la guerra russa in Ucraina, e l’armamento di quest’ultimo paese, per cambiare le economie europee in una tensione crescente tra Usa e Russia. Meloni ha confermato dal G20 a Rio: «Siamo uniti sulle armi a Kiev anche nel 2025».

La dichiarazione di Varsavia va intesa anche sull’onda di quanto è stato detto ieri a Bruxelles nel corso del consiglio europeo dei ministri della difesa insieme al segretario della Nato Mark Rutte. Quest’ultimo ha rilanciato l’esigenza degli Stati Uniti, e del loro prossimo presidente Donald Trump, di spendere in armi ben oltre il 2% del prodotto interno lordo: “Per essere certi che la deterrenza non sia solo per oggi, ma per il lungo termine, per essere sicuri di poterci difendere” ha detto.

Questa esigenza dei militari e delle loro lobby è già da tempo ascoltata come ha dimostrato il socialista spagnolo Josep Borrell, rappresentante ancora per poco della politica estera (e militare) dell’uscente commissione Von Der Leyen. «Oggi la spesa militare degli Stati membri dell’Unione europea è del 30% in più rispetto all’inizio della guerra in Ucraina e raggiungerà 326 miliardi di euro quest’anno. Dobbiamo aumentarla» ha detto Borrell. Al conto presentato dalla Nato, Borrell ha risposto come di solito si fa in Europa: non serve solo dare più soldi ai militari, bisogna favorire il «coordinamento» della spesa tra gli Stati. Eventualmente, come ha suggerito il rapporto Draghi sulla «competitività», favorendo la concentrazione oligopolistica anche tra i fabbricanti di cannoni. Compito che non appare semplice. Quello delle armi è un mercato ricchissimo dove ciascuno fa il proprio gioco. A cominciare dagli Stati.

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Ieri a Bruxelles c’era il ministro della difesa Guido Crosetto che, dopo avere sostenuto il miraggio italiano sugli «Eurobond» ha rinnovato la richiesta del governo Meloni a proposito dello scorporo delle spese militari dai rigidi parametri del nuovo patto di stabilità Ue che obbliga a tagli vertiginosi della spesa sociale, ma blocca anche la spesa militare (già in aumento come dimostra la prossima manovra). Questo problema interessa in particolare i paesi con alto deficit e super-indebitati come l’Italia. Lo «scorporo permetterebbe al governo Meloni di spendere il 2% del Pil nella «difesa». E non basterà perché, lo ha detto il suo capo Rutte, la Nato già chiede molto di più.

La creazione di un’economia di guerra potenzierà processi già strutturati nell’istruzione (con l’alternanza scuola-lavoro) e nell’università (la cooperazione scientifica con i fabbricanti di armi). Ieri, a un forum sulla formazione dei militaria Roma, il ministro Valditara si è detto pronto a creare «nuove sinergie». Come il concorso per promuovere il ruolo delle forze armate che, da ultimo sta sollevando critiche. «La scuola è un terreno di lotta per la repressione delle voci dissidenti e il militarismo» ha denunciato Tommaso Martelli (Unione degli studenti).

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