Dal governo un bilancio di guerra
Nuova finanza pubblica La rubrica settimanale di politica economica. A cura di autori vari
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Mentre il governo, in ossequio alla nuova austerità approvata dall’Unione europea, si appresta con la Legge di Bilancio 2025 a tagliare la spesa pubblica su pensioni, sanità, istruzione, ricerca e servizi pubblici locali, con la medesima legge porta il bilancio della Difesa a superare il record storico e ad attestarsi a oltre 32 miliardi di euro. Secondo il puntuale e dettagliato rapporto dell’Osservatorio MIlex (www.milex.org), gli stanziamenti previsti nel comparto Difesa superano del 7,1% quelli dell’anno in corso. Se teniamo conto del fatto che nel 2016 il budget della Difesa era poco più di 19 mld e che nel 2021 era poco più di 24 mld, si ha la dimensione dell’aumento esponenziale verificatosi (+61% in dieci anni). Va peraltro sottolineato come quasi 13 miliardi dello stanziamento complessivo saranno destinati all’industria per l’acquisizione di nuovi armamenti, con un aumento del 77% negli ultimi cinque anni.
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Il futuro è in guerra: 32 miliardi ai militari, 13 in più per le armiQuindi in un Paese che è al quinto posto in Europa per l’indice di abbandono scolastico e al primo per i bassi salari degli insegnanti; che ha un sistema sanitario pubblico al collasso e oltre 4,5 milioni di persone che hanno rinunciato alle cure perché non possono permettersi di pagarle; in un Paese dove il 94% dei Comuni è a rischio dissesto idrogeologico e oltre 8 milioni di persone vivono in aree ad alta pericolosità (il tutto reso ulteriormente drammatico dai cambiamenti climatici), il Governo sceglie di tagliare la spesa pubblica e gli investimenti sociali per andare a rimpinguare le casse di chi vive, partecipa e si arricchisce nelle guerre presenti mentre prepara con determinazione quelle future.
D’altronde, come dice il ministro Crosetto “L’aumento delle spese militari è necessario perché il nostro Paese non è preparato alla guerra”, come se la dimensione bellica fosse ineluttabile e non il frutto di scelte scellerate che ci stanno portando al precipizio. Non va inoltre dimenticato come con questo balzo in avanti la spesa per la Difesa raggiunga l’1,42% del Pil, ma sia ancora distante dalla “raccomandazione”, fatta in sede NATO e pienamente recepita dalla Ue di Ursula von der Leyen, di chiedere a tutti i paesi membri di arrivare a destinare alla Difesa il 2% del Pil. A fronte di questo quadro, i dieci centesimi al giorno di aumento delle pensioni minime risultano una feroce e gratuita umiliazione di milioni di persone, soprattutto perché giustificate con la mancanza di soldi, mentre le risorse spuntano copiose se destinate all’acquisto dei più moderni sistemi d’arma.
Tuttavia, se con il governo Meloni l’aumento delle spese militari è stato più netto, non va dimenticato come la tendenza all’aumento riguardi un tempo molto più ampio e governi di colore differente. D’altronde, se non si mette in discussione la narrazione dominante – il debito è il problema, le politiche di austerità sono necessarie per affrontarlo, la transizione ecologica va affidata al mercato e all’innovazione tecnologica, la difesa italiana ed europea dev’essere competitiva dentro il futuro ordine geopolitico planetario- difficile che ci si discosti dalle misure previste. Cambia senz’altro la ferocia, resta immutata la direzione. La Legge di Bilancio del governo Meloni ha tuttavia un pregio, perché è chiara negli intenti e nella visione della società che vuole imporre: esistono vite degne (quelle dotate di censo) e vite da scarto (tutte le altre), noi lavoriamo a favore delle prime e per le seconde stiamo modificando le leggi (vedi Dl 1660) affinché non possano protestare o disturbare i lavori in corso. Resta una domanda che ci riguarda: possiamo accettare tutto questo, fingendoci resilienti o facciamo finalmente uno scatto di convergenza per dire che è altro il futuro che vogliamo?
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