L’accordo tra i ministri dell’economia sul nuovo patto di stabilità e crescita dell’Unione Europea raggiunto ieri all’Ecofin in videoconferenza ha fatto incassare al governo italiano un bonus di tre anni. Tanti potrebbero passare prima che le nuove norme stringenti sul rapporto tra il debito e il prodotto interno lordo (Pil) e tra il deficit e Pil entreranno pienamente is vigore. Si parla di un «regime transitorio» fino al 2027 dovrebbe attutire l’impatto provocato dalla Banca Centrale Europea che ha aumentato i tassi di interessi e, con essi, il peso degli interessi sull’enorme debito pubblico italiano. Una volta terminata la legislatura in corso, il problema della gestione dell’austerità – di cui ha già dato prova la legge di bilancio che sarà approvata venerdì al Senato in prima lettura, con la fiducia – sarà scaricato sul prossimo esecutivo. Che potrebbe essere uno non guidato da Meloni. È la politica del meno peggio per un paese con una politica economica, industriale e sociale limitata. E quella che resta è condizionata dal vincolo esterno e dagli interessi di classe interni.

L’ACCORDO È «STORICO» per la maggioranza degli ordo e neoliberali di destra, centro e sinistra. La ministra spagnola delle finanze Nadia Calvino, parte di un governo a guida socialista, ha raggiunto il risultato politico. E ha rivendicato lo stratagemma delle «4 salvaguardie» sul debito, sul deficit. È grazie a loro che il ministro italiano dell’economia Giancarlo Giorgetti ha potuto dirsi soddisfatto per l’accordo che ha punti critici. Giorgetti ha parlato di «spirito del compromesso inevitabile», di «accordo sostenibile», di «realistica e graduale riduzione del debito». Sono state recepite le richieste italiane di estensione automatica del piano connessa agli investimenti del Pnrr, è stata scomputata la spesa per interessi dal deficit strutturale fino al 2027. Ci sarà più spazio per gli investimenti e, come nel Pnrr, saranno condizionati alle «riforme strutturali». Cioè all’ulteriore intensificazione della razionalità neoliberale esistente. Giorgetti ha citato la spesa militare. Perché alle armi l’Europa non rinuncia nella nuova economia di guerra.

LE «SALVAGUARDIE» sono servite ad ammorbidire i falchi ordoliberali tedeschi che egemonizzano l’agonico esecutivo a guida socialdemocratica. Hanno permesso di ottenere l’intesa con il governo macronianocondizionato dall’estrema destra lepenista. Hanno fattostringere i denti all’esecutivo italiano debole e taciturno. In questo scenario politico è stata decisa una riduzione media annua del rapporto debito/Pil di un punto percentuale per i paesi con debito superiore al 90% e dello 0,5% per quelli tra il 60% e il 90%; un margine di bilancio del disavanzo strutturale pari all’1,5% del pil e inferiore al 3%. È passata la norma che allunga il piano di rientro dei debitori da 4 a 7 anni. L’aggiustamento del deficit primario strutturale per l’Italia sarà pari allo 0,4% del pil all’anno, ma potrà ridursi allo 0,25% se il piano concordato con la prossima commissione Ue sarà di 7 anni. Sono percentuali che pongono comunque il problema della capacità italiana di giustificare una simile politica commissariale, sia pure dilatata nel tempo, al proprio interno. E con una crescita che è tornata allo zero virgola.

ORA CHE È STATA APPROVATA la tanto sudata bozza, il nuovo patto di stabilità dovrebbe entrare in vigore «prima delle elezioni europee» ha detto ieri il vicepresidente della commissione europea Valdis Dombrovkis. «Dalla prossima primavera» ha confermato il commissario Ue all’Economia Paolo Gentiloni. Sempre che le ultime e non semplici tappe previste saranno rispettate. Il testo andrà al comitato dei rappresentanti permanenti degli stati membri (Coreper) e sarà approvato. Poi dovrà essere adottato dal Parlamento e dal Consiglio e, dopo la pubblicazione nella Gazzetta ufficiale, entrerà in vigore nel 2024 per essere applicato nel 2025.

SUL FRONTE POLITICO interno ieri si è registrato uno scollamento tra il partito democratico di Elly Schlein e il «suo» commissario all’Economia Gentiloni, già ex presidente del Consiglio. Se quest’ultimo ha giudicato il nuovo patto un buon compromesso, la segretaria del suo partito ha attaccato il governo che ha accettato il compromesso gestito dallo stesso Gentiloni. Schlein ieri ha parlato di «un compromesso dannoso per l’Italia», «il governo rischia di far ritornare il paese alla rigida austerità dei parametri quantitativi sul rapporto tra deficit e Pil». Per Giuseppe Conte (Cinque Stelle): «tornano vincoli rigidi, parametri contabili potenzialmente prociclici, una nuova stagione di austerità». Solo un virus come il Covid è riuscito a fermare questa macchina. Di quella lezione poco o nulla è stato trattenuto.