L’Europa al tramonto tra paura dei dazi e austerità soffocante
La storia La Commissione Europea taglia le stime sulla crescita dell'Italia: «Sulla manovra non ci saranno effetti». In vista del giudizio sulla legge di bilancio previsto il 26 novembre il commissario Ue all'economia Paolo Gentiloni ha inviato messaggi rassicuranti al governo: "Va grossomodo bene"
La storia La Commissione Europea taglia le stime sulla crescita dell'Italia: «Sulla manovra non ci saranno effetti». In vista del giudizio sulla legge di bilancio previsto il 26 novembre il commissario Ue all'economia Paolo Gentiloni ha inviato messaggi rassicuranti al governo: "Va grossomodo bene"
Quello di Trump sui dazi sull’economia europea non è un bluff e a Bruxelles lo sanno. Il già presidente golpista, che aspira a diventare un tiranno anarco-capitalista dal prossimo gennaio, ha minacciato di imporre una tariffa transfrontaliera fino al 20% sui 3 mila miliardi di dollari di importazioni statunitensi, colpendo circa 575 miliardi di dollari di automobili, prodotti farmaceutici, macchinari e una lunga lista di altri prodotti provenienti dall’Unione Europea.
La preoccupazione è così seria che ieri, mentre snocciolava le incerte previsioni economiche d’autunno per il continente, il commissario all’economia Paolo Gentiloni ha detto che i dazi colpiranno specialmente l’Italia e la Germania: «Sono i due paesi che hanno i maggiori surplus commerciali con gli Stati Uniti». Un’ipotesi devastante considerando il fatto che se la Germania è in recessione (lo ha detto ieri la Commissione) in Italia l’industria è in coma. È giunta al ventesimo mese consecutivo di crollo. Senza contare che, con la legge di bilancio in discussione in parlamento, il governo Meloni taglierà il fondo per la transizione ecologica dell’automotive di 4,6 miliardi. La conferma che questo paese non investirà più sull’industria.
«Un’eventuale svolta protezionistica della politica commerciale statunitense sarebbe estremamente dannosa per entrambe le economie – ha aggiunto Gentiloni secondo il quale la prossima Commissione collaborerà con la prossima presidenza Usa. Chissà quale sarà, e con quale maggioranza. E sempre che Trump voglia collaborare.
L’altro ieri Mario Draghi, in un discorso a Milano, ha ipotizzato che i dazi Usa all’Europa saranno «negoziabili» rispetto a quelli sulla Cina. E ha prospettato uno scambio: dare a Trump l’aumento della spesa militare per ingrassare l’industria americana e chiedere il favore di non mettere troppi dazi. A condizione però che l’Europa «parli con una voce sola». Perché i singoli paesi sarebbero tentativi di trattare individualmente. Dall’Italia Meloni potrebbe fare valere gli speciali uffici con il factotum di Trump: Elon Musk.
L’Europa, vaso di coccio tra l’Europa e la Cina, è stata rappresentata da Gentiloni, e dal suo successore già attuale vicepresidente della Commissione Ue Valdis Dombrovskis, come sospesa sul filo. C’è una crescita (0,9% nel 2024, 1,5% nel 2025) ma non basta. È esposta al regime di guerra globale. L’Italia crescerà lo 0,7% (non l’1% come vorrebbe Giorgetti). Gentiloni ha confermato l’atteggiamento accomodante che ha riservato al governo Meloni. Sa che ora la fase è delicata. Non è il caso di fare troppo chiasso. Basta Von Der Leyen a spingere ancora più a destra di quanto abbia già fatto a partire dal Covid. Questo significa che le differenze tra Bruxelles e Roma sul le stime del Pil non avranno «grandi riflessi» sul giudizio sulla manovra che arriverà il prossimo 26 novembre in quella che dovrebbe essere l’ultima conferenza stampa di un commissario che ha accompagnato (e subito) l’approvazione del nuovo patto Ue di stabilità che metterà in guai seri l’Italia nei prossimi sette anni di austerità.
Per Gentiloni (e per tutta la politica italiana, e non) questa è la legge, la normalità. Eccola spiegata con le sue parole: «La medicina più immediata per affrontare i problemi di crescita è la serietà nei conti pubblici e penso che la legge di bilancio italiana vada grossomodo in questa direzione». È vero: contiene 12 miliardi di euro di tagli a ministeri e enti locali che metteranno in ginocchio quella crescita invocata con la danza della pioggia. Meloni, Giorgetti e Gentiloni sono d’accordo con questo piano. Il governo Scholz in Germania è fallito proprio sull’aumento del debito pubblico, cioè su uno dei dogmi neoliberali sostenuti dalla Germania. Il contrappasso che però conferma la regola.
Gentiloni e Dombrovskis hanno previsto che dal 2025 il famoso Pnrr dovrebbe produrre un effetto sul Pil, cosa che ad oggi non c’è stata. È il solito ritornello. Loro sanno che il Pnrr non produrrà gli effetti sperati entro giugno 2026. La coppia Gentiloni e Dombrovskis lascia un continente assediato da guerre commerciali e da una logica economica che è stata irrigidita senza contestazioni.
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