Scuola

Caschi, divise e moschetti per gli «studenti-soldati» provetti

Caschi, divise e moschetti per gli «studenti-soldati» provetti

Il caso Dilagano centinaia di iniziative nelle scuole ispirate alla propaganda militarista. Il lavoro di inchiesta e denuncia dell'Osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università. Come costruire nuove culture di pace. L’inchiesta di Antonio Mazzeo in «La scuola va alla guerra» (Manifestolibri)

Pubblicato 10 mesi faEdizione del 6 febbraio 2024

La presenza delle forze armate e delle forze di polizia, non è una novità negli istituti scolastici. Negli ultimi dieci anni si è intensificata in maniera frenetica. Secondo l’Osservatorio contro la militarizzazione della scuola e dell’università che documenta le loro attività giornalmente sul suo sito www.osservatorionomilscuola.com, sta avvenendo un cambio di paradigma.
Da quando le forze armate sono diventate professionali considerano la scuola come un bacino privilegiato da cui selezionare il loro personale dalle giovani generazioni. La scuola, a sua volta, ha integrato tra le sue funzioni anche la formazione dello «studente-soldato». Il progetto, più volte annunciato dalle destre, di una «mini naja» collegata ai crediti scolastici, e a facilitazioni nel mondo del lavoro, risponde a una visione della società che stringerà ancora di più il legame tra l’istruzione e il mondo militare.

Una data può essere fissata come inizio di questo processo: il 2014. In quell’anno il ministero dell’Istruzione (allora mancava ancora il «merito» aggiunto dal governo Meloni) e quello della Difesa hanno sottoscritto un «protocollo d’intesa». L’accordo elencava le iniziative da affidare alle forze armate che avrebbero coinvolto potenzialmente l’intera didattica, a cominciare dalle scuole elementari. L’anno successivo il governo Renzi (allora nel Partito Democratico) approvò l’alternanza scuola-lavoro. Oggi si chiama «Pcto», cioè «Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento». Fu così aperto il campo ai militari in maniera strutturale anche nelle scuole superiori. Oggi nelle aule, nei cortili e nelle palestre sono organizzate conferenze e lezioni sulla «sicurezza», sulla «legalità», sulla promozione professionale di un corpo armato in vista di una possibile carriera. Sempre più spesso le scolaresche al Nord, al Centro e al Sud, isole comprese, sono condotte in caserme e basi militari per partecipare a cerimonie, visite guidate e percorsi «formativi».

Nel libro La scuola va alla guerra. Inchiesta sulla militarizzazione dell’istruzione in Italia (manifestolibri, pp.172, euro 20) il giornalista e docente Antonio Mazzeo sostiene che la logica della militarizzazione è intrecciata sia con quella dell’aziendalizzazione dell’istituzione scolastica, sia con quella della precarizzazione del lavoro. In questa prospettiva, allora, la scuola non è considerata solo come un’impresa governata da un preside-manager. Non serve solo a formare una manodopera «occupabile» – cioè disponibile ad essere impiegata a seconda delle effimere esigenze del mercato del lavoro. Agisce anche da cassa di risonanza per una retorica securitaria in un momento in cui la Nato ha chiesto agli Stati membri di aumentare le spese militari, a discapito di quelle sociali, mentre aumentano gli invii delle armi nei conflitti in corso, ad esempio quello in Ucraina.

Mazzeo descrive le iniziative finalizzate alla formazione del moderno «cittadino soldato». L’elenco è lungo, articolato e impressionante. L’educazione del «giovin guerriero» contempla parate, presentat’arm e alzabandiera, conferimenti di onorificenze, mostre di antichi cimeli e delle più moderne tecnologie di distruzione. Ci sono le attività didattico-culturali affidate a generali e ammiragli che leggono e interpretano la Costituzione, fanno corsi di «educazione alla legalità» e «alla pace», parlano di ecologia, di salute, «blitz anti-droga», ammoniscono contro comportamenti classificati come «devianti». Si tende così a costruire un modello circolare tra «scuola-caserma-lavoro». Tale modello è ispirato da un’idea autoritaria dell’istruzione che insiste sulla minaccia della punizione e sulla deterrenza. La norma va rispettata in quanto tale, non discussa, criticata e modificata in maniera cooperativa e democratica.

A questo si aggiunge un altro lavoro ideologico, quello sulla memoria storica e sul revisionismo di stampo nazionalistico. A tale proposito Mazzeo ricorda il modo in cui è stata commemorata la prima guerra mondiale, i progetti che hanno riguardato il «milite ignoto». Un altro tratto comune tra l’educazione autoritaria e il revisionismo storico è l’idea della preparazione allo scontro con un nemico. Prossimo o lontano, statale e non statale, non importa. L’importante è la preparazione alla reazione, l’allenamento e la prevenzione del rischio, il controllo della paura in un mondo pericoloso. Sono questi i «valori» riproposti nelle scuole con un’indubbia capacità di marketing: legge, ordine e armi; Dio, patria, famiglia e mercato; concorrenza, performatività e antagonismo, anche armato.

Il libro di Mazzeo, e l’inchiesta permanente dell’Osservatorio, promuovono la smilitarizzazione del sistema scolastico e delle metodologie dell’insegnamento. Le culture della pace possono essere coniugate sia con le istanze dell’anti-razzismo e dell’antisessismo diffuse tra gli studenti, sia con la lotta per il ripristino del dettato costituzionale e contro la dilapidazione del Welfare. Un impegno, non facile, in una società come quella italiana. Questo però è un antidoto alla svolta autoritaria del neoliberalismo.

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