La ricognizione del Bergamo Film Meeting ha sempre risvolti interessanti al limite dell’inedito o quantomeno dell’inconsueto. Ecco, per esempio, i documentari raggruppati con il sottotitolo «Visti da vicino», tra questi si annida qualcosa di piuttosto singolare: Emlékek orei, tradotto internazionalmente come The Missing Tale, il racconto perduto. La regia è di Klára Trencsényi, ungherese di origine ebraica, proveniente da una famiglia così segnata e devastata dalla Shoah che in casa non si è parlato della faccenda preferendo tacere su storia, vicissitudini e retaggio. Ma il destino è in qualche modo in agguato. Qualche tempo infatti fa Klára, documentarista, va in Kerala, estremo sudoccidentale indiano, per lavoro. Mentre si aggira per la città di Cochin rimane incuriosita da alcune cose. La prima è il cartello che indica dove si trova la sinagoga, e lungo la strada per arrivarci un negozietto di articoli tra il ricordo e il religioso sempre di origine ebraica. Poi, dietro una inferriata colorata e a disegni tra cui spicca la stella di Davide nota Sarah Cohen, una donna anziana che legge libri in ebraico, che spesso i passanti fotografano e alcuni ricordano anche come un tempo cantasse. Quasi una piccola attrazione locale che naturalmente cattura l’attenzione di Klára.

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Kira Muratova, geniale senza martirioE QUI, prima di procedere, tocca fare un inciso. Cochin ha una lunghissima tradizione di presenza ebraica. A partire dal periodo avanti Cristo, quando da Babilonia approdarono lì delle persone, peraltro scure di pelle, che osservavano la religione ebraica e che poi consideravano inferiori i locali convertiti. A partire dal ‘500, arrivarono altri ebrei, bianchi, in fuga dalla penisola iberica e dall’inquisizione europea. Va detto che Cochin all’epoca era colonia portoghese anzi, per loro era il più importante porto indiano, solo più tardi Goa sostituì Cochin.
Qui comincia un fenomeno curioso, quelli che prima erano dominanti nella comunità, detti ebrei neri, improvvisamente diventano inferiori agli ebrei bianchi. Una divisione in caste che ricalca le rigide gerarchie indiane. Con alterne vicende, gli olandesi subentrano ai portoghesi e gli ebrei se la passano meglio, poi arrivano gli inglesi e tutto procede bene, se non ci fossero queste orride separazioni. Dopo la fine della Seconda guerra mondiale la comunità ebraica si riduce a pochi membri, gli altri sono emigrati in Israele (India e Israele nascono praticamente nello stesso anno). Laggiù alcuni non sono così ben accetti, è capitato anche a Anish Kapoor, artista oggi internazionalmente famoso, di padre indiano e madre ebraica, quando adolescente si trasferiscono scopre tristemente di essere definito «negro». Partiti da un posto dal verde lussureggiante per trovarsi nel deserto, speravano nel benessere finiscono in campi d’accoglienza, speravano nella pace e invece sono in perenne conflitto.
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«Le proprietà dei metalli», il paradigma e l’eccezione
Nel frattempo a Cochin sono rimasti talmente pochi che non hanno neppure un rabbino. Però, mentre la sinagoga Paradesi ha una sua modesta dignità, quella dei neri è completamente abbandonata e semidiroccata con gran dispiacere di Babu. E qui Klára scopre che la sua infatuazione per Sarah si fa problematica per il neppur velato razzismo che l’anziana donna ha ormai introiettato. Così entrano in gioco altri personaggi, altri scenari, altre storie destinate a intrecciarsi con quelle di Sarah, Babu e la comunità di Cochin, invitando a una riflessione davvero intrigante su come etnia, religione, realtà dialoghino tra loro in modo tutt’altro che lineare rivelando storie addirittura impensabili.
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«Le mura di Bergamo», nominare il trauma della pandemia e ciò che ne rimane
QUELLA di The Missing Tale è una delle piccole preziosità scovate dal Meeting che ha proposto poi il notevole lavoro di Stefano Savona Le mura di Bergamo, dopo la prima al festival di Berlino, riportando a casa una riflessione sul Covid e su quanto è successo in quella zona. E sempre dalla recente rassegna berlinese arriva Le proprietà dei metalli di Antonio Bigini, un altro racconto eccentrico che sposta l’attenzione su un ragazzino di campagna che quasi senza volere è in grado di piegare il metallo, attirando l’attenzione di un mondo a lui estraneo.