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Kashmir, vittoria «simbolica» contro la destra hindu

Kashmir, vittoria «simbolica» contro la destra hindu

Elezioni locali in India Il Bjp di Narendra Modi sbaraglia la concorrenza in Haryana nonostante la battaglia dei braccianti

Pubblicato 21 minuti faEdizione del 10 ottobre 2024

Martedì 8 ottobre in India si è conclusa la prima tornata elettorale locale da quando il governo della destra hindu guidato da Narendra Modi ha strappato un terzo mandato consecutivo alla guida del Paese. Si è votato nello Stato dell’Haryana e nello «union territory» del Jammu e Kashmir, due banchi di prova che hanno confermato la fama della macchina del consenso del Bharatiya Janata Party (Bjp) del premier Modi: quando la destra hindu gioca «in casa», a livello locale, è un osso duro; e quando lo fa «in trasferta» spesso riesce a concedere agli avversari non più di una vittoria di Pirro.

IN HARYANA vivono più o meno trenta milioni di persone, in gran parte di fede hindu e impiegate a vario titolo nel settore agricolo. Lo Stato, al confine con la capitale New Delhi, negli ultimi anni è stato uno dei campi di battaglia delle enormi proteste contadine che hanno messo sotto assedio Modi, tanto da costringerlo – dal 2014, caso più unico che raro – a fare retromarcia su alcune misure varate dal suo governo. Nello specifico, le tre leggi che avrebbero dovuto liberalizzare il mercato agricolo in India, mandando sul lastrico milioni di braccianti lasciati senza tutele ad affrontare i grandi gruppi internazionali dell’agroalimentare, nel 2021 sono state abrogate. E sono ancora in corso le trattative per far mettere nero su bianco a Modi che non saranno reintrodotte mai più.

SE AGGIUNGIAMO che da quasi dieci anni consecutivi il Bjp governava in Haryana, e che sul campo la voglia di cambiare sembrava essere tanta, l’Indian National Congress (Inc) di Rahul Gandhi aveva tutte le ragioni per sperare di battere il Bjp là dove si credeva invincibile. L’Inc aveva anche arruolato tra le sue fila due superstar del wrestling, la campionessa Vinesh Phogat e la leggenda Bajrang Punia, per dare uno spin politico allo scandalo di molestie sessuali che i due avevano fatto esplodere denunciando l’ex capo della federazione nazionale Brij Bhushan, uomo forte del Bjp vicinissimo agli ambienti dell’estremismo hindu.
Contro le aspettative, il Bjp ha sbaragliato la concorrenza, ha interpretato meglio di chiunque le dinamiche castali locali e si è aggiudicato uno storico terzo mandato consecutivo a capo dell’Haryana. Messaggio alle opposizioni: nella «hindi belt», la cintura dell’India del nord dove dominano la lingua hindi e il nazionalismo hindu, comandiamo ancora noi.

DIAMETRALMENTE opposta la situazione in Jammu e Kashmir, oltre 12 milioni di persone di cui quasi il 70% di fede musulmana. Nel 2019 è stato declassato da stato a «union territory», cioè niente autonomia a tutela della maggioranza musulmana e governo locale azzoppato, con interni e gestione dell’ordine pubblico nelle mani di un governatore nominato direttamente da New Delhi. Ovvero da Modi. Dettaglio non da poco in uno dei territori più militarizzati del mondo: senza contare le forze di polizia, nella valle del Kashmir più o meno trecentomila soldati indiani proteggono i confini col Pakistan e dissuadono una recrudescenza dell’indipendentismo armato.

PER QUESTO la partita già alla vigilia del voto sembrava segnata: col Jammu a maggioranza hindu praticamente già in tasca, nel Kashmir a maggioranza musulmana il Bjp praticamente quasi non ha fatto campagna elettorale, lasciando spazio a una potenziale lotta fratricida tra Inc e Jammu e Kashmir National Congress (Jknc) da un lato e tutti gli altri partiti musulmani dall’altro, compresi i candidati «indipendenti» espressione delle principali sigle della ex lotta armata indipendentista. L’obiettivo era far disperdere il voto musulmano imponendo un governo di minoranza sostenuto dal Bjp.
Le cose non sono andate esattamente come sperato.
Il primo ministro Modi appena terminate le operazioni di spoglio si è complimentato con la popolazione kashmira per aver registrato un’affluenza vicinissima al 64%: meglio delle nazionali ma appena sotto i livelli record registrati nel 2014, quando il Jammu e Kashmir era ancora uno Stato. Per Modi, comunque, segno che «i kashmiri hanno fiducia nella democrazia».

MA SE IL JAMMU, come previsto, è andato quasi completamente al Bjp (29 seggi), in Kashmir ha prevalso il voto «istituzionale», dando fiducia all’alleanza Jknc e Inc (48 seggi) considerata meno radicale e quindi più promettente per dar seguito alle promesse elettorali: liberare le migliaia di giovani arrestate per sedare sul nascere le proteste del 2019; far tornare il Jammu e Kashmir uno stato vero, con un governo locale autonomo esattamente come succede nel resto del Paese; e, ma qui entriamo nel campo della fantascienza, riapplicare quell’articolo 370 della Costituzione che per più di mezzo secolo, fino al 2019, ha garantito alla popolazione kashmira un’autonomia speciale tutelandola dai processi di «hinduizzazione» ora incoraggiati dalla migrazione interna.
Ci proverà Omar Abdullah, leader del Jknc e ultimo erede di una dinastia politica in Kashmir sinonimo di appeasement col governo indiano, ancora considerato da molte e molti nella valle come forza occupante di cui liberarsi. Sarà lui a guidare, sostenuto dall’Inc, il governo più debole nella storia del Kashmir amministrato dall’India.

PER CHI SI OPPONE alla destra hindu, una vittoria simbolica che lascia ben sperare. Per chi sostiene la destra hindu, una quasi vittoria che, finché il Bjp governerà a New Delhi, difficilmente potrà riscrivere i destini di milioni di kashmire e kashmiri inesorabilmente succubi di decisioni prese sulla loro pelle a centinaia di chilometri da casa.

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