Alessandro Orlandi, in pieno Kali Yuga
Intervista L'autore racconta «Lampi di tenebra – Manifestazioni del Kali-Yuga nel mondo moderno», da Stamperia del Valentino
Intervista L'autore racconta «Lampi di tenebra – Manifestazioni del Kali-Yuga nel mondo moderno», da Stamperia del Valentino
Fisico, matematico, ex insegnante al liceo Visconti di Roma, ex curatore del museo Kircheriano annesso, appassionato di alchimia, I Ching e tarocchi, leader della pop-rock band Saturn’s Children, fondatore nel 2007 della Lepre edizioni, Alessandro Orlandi potrebbe essere definito un uomo rinascimentale. Una delle sue ultime creazioni è Lampi di tenebra – Manifestazioni del Kali-Yuga nel mondo moderno (Stamperia del Valentino, pp. 263, € 25,00), uno scritto nel quale passato presente e futuro si intrecciano da prospettive diverse, proponendo una visione alternativa a quella imperante dell’esistente.
Alessandro, da dove iniziamo?
Ovviamente dal Kali Yuga. Quella dei cicli del tempo nell’induismo è una materia molto complessa, la trovate nel libro e non è il caso di riassumerla adesso. La cosa importante da capire è che l’induismo misura il tempo secondo due dimensioni completamente opposte tra loro. Una è quella del tempo della vita quotidiana, che comincia con la nascita e si conclude con la morte. L’altra fa riferimento a un tempo cosmico, irriducibile alla vita umana, in cui un ciclo completo è la vita del dio Brahma: 311.040 miliardi di anni. Quindi un tempo che smarrisce la ragione. Questo ciclo completo si suddivide in cicli temporali più brevi, uno dei quali, che si chiama Mahayuga, viene diviso in quattro parti, che segnano la progressiva discesa delle coscienze nelle tenebre, la perdita del rapporto con la divinità.
La prima di queste quattro parti si chiama Krita o Satya Yuga, un’età dell’oro che corrisponde all’età dell’oro di Esiodo nella divisione greca dei cicli temporali. Poi c’è il Treta Yuga, poi il Dwapara Yuga e infine il Kali Yuga. Questi cicli segnano, come dicevo, un progressivo ottenebramento delle coscienze nel segno dell’ignoranza, una forma di cecità che riduce ogni cosa al suo aspetto materiale e tangibile. In effetti oggi molti vedono nella scienza e nella tecnologia le uniche forme di conoscenza possibili, negando che il mondo e l’essere abbiano livelli più sottili di esistenza e che ogni cosa nell’universo possa sussistere, essere percepita, secondo vari livelli di coscienza.
Chi coltiva questo riduzionismo sembra ignorare che l’amo con cui noi andiamo a pesca per comprendere il mondo è fatto di simboli. È attraverso i simboli che il mondo e l’universo svela i suoi aspetti più sottili al poeta, all’artista e allo scienziato. Che l’umanità sia diventata sorda al linguaggio dei simboli è proprio ciò che hanno previsto alcuni scritti sacri induisti, soprattutto alcuni tra i Purana e il Mahabarata.
Il Kali Youga come un filtro attraverso cui guardare al presente…
La scelta degli argomenti del libro è molto varia ed è stata guidata dall’intento di mettere in luce quello che noi perdiamo adottando il punto di vista materialista e riduzionista descritto dal Kali Yuga. Si comincia col Transumanesimo, che riduce il pensiero alle attività dei neuroni e a una serie di algoritmi, e l’amore all’attività degli ormoni, paragonando l’uomo a una macchina, concependolo come un insieme di organi sostituibili con parti meccaniche o ricreabili con le biotecnologie. Si parla persino di downlodare il cervello in una memoria esterna, di sopravvivere e vincere la morte in questo modo, dando questo senso perverso e materialista al vivere e al morire e perdendo il senso della sacralità della vita umana. Al contrario, le civiltà più antiche, per esempio gli egizi, pensavano che il corpo umano oltre al corpo tangibile prevedesse altri corpi sottili, e che questi corpi sottili andassero oltre la nostra morte fisica.
Anche nel Cristianesimo abbiamo l’anima e lo spirito, e nell’induismo, nel buddhismo o nel taoismo ci sono tecniche alchemiche per trasferire la coscienza in un corpo di luce. Tutto questo viene spazzato via e veniamo ridotti dal materialismo a reazioni chimiche e algoritmi. Tutte chiacchere e distintivo, direbbe Al Capone nel film Gli intoccabili. Seguono alcuni capitoli che parlano delle divinità greche e del loro simbolismo, del modo in cui, direbbe James Hillman, queste divinità si sono ammalate nel mondo moderno. Ad esempio Mercurio. Cosa guadagniamo e cosa perdiamo pensando che la cosa più importante sia la velocità? Nel traguardare la mèta senza occuparci del percorso? Nella concezione antica del viaggio la cosa più importante era il percorso, come si arrivava alla fine di un viaggio, non tanto il fatto di arrivarci il più in fretta possibile. Siamo colonizzati da un tempo esterno che ci detta i suoi ritmi e i suoi valori specifici, anziché cercare in noi stessi il valore da dare alle esperienze.
La divisione del tempo in quattro Yuga è tuttora un pensiero vivo in India?
Se diciamo di essere nel pieno del Kali Yuga sono tutti d’accordo. Poi quando si va a vedere quanto dovrebbe durare esattamente il Kali Yuga e quando dovrebbe avere termine, le opinioni sono diverse, una scuola dice che addirittura dovrebbe finire nel 2025, un’altra che dovrà durare almeno altri 400.000 anni. Dividere il tempo, la storia del mondo, in ere non è proprio solo dell’induismo, ma è un’idea condivisa anche dei Greci e dalle civiltà mesoamericane, Aztechi, Toltechi, Maya.
Torniamo a Mercurio…
Tra gli archetipi che lo caratterizzano c’è la comunicazione, che è la principale funzione di questo dio. Viviamo in un’epoca in cui il mondo è iperconnesso, però abbiamo perso, per così dire, la bilancia, cioè la facoltà di pesare le cose importanti e distinguerle da quelle di nessun valore. È come una pittura senza prospettiva, in cui tutto sembra avere la stessa importanza. È vero che ci sono gli algoritmi di Google che dovrebbero distinguere le cose importanti da quelle irrilevanti, però i criteri secondo cui lo fanno sono completamente avulsi dalla nostra anima e dalla nostra coscienza. Poi c’è il rapporto con la morte, Mercurio era per eccellenza lo psicopompo, colui che conduce le anime dal sogno alla veglia e viceversa, e dalla vita alla morte. Se non si interiorizza, se non ci si avvale del mondo dei simboli, la morte viene occultata, nascosta. Il nostro è un Mercurio su cui abbiamo messo un lenzuolo nero, sia su di lui che su Ade, il Dio dei morti.
Mercurio segnava anche i passaggi della coscienza: un tempo la vita era concepita come viaggio interiore, prima verso l’adolescenza, poi verso l’età matura, la vecchiaia, la morte. Fasi che erano accompagnate da una ritualità che si è completamente persa, per cui è come se viaggiassimo attraverso le nostre vite avendo sempre la stessa età da un punto di vista interiore, con nessuna consapevolezza che ci sono delle fasi da attraversare e delle trasformazioni interiori che le accompagnano.
Un’altra divinità greca che visiti è Nemesi…
Era la custode dell’ordine cosmico e della giustizia, che noi abbiamo derubricato a dea della vendetta, cosa che la dice lunga sulla nostra idea di ordine cosmico e sulla nostra cecità rispetto al degrado dell’ambiente, alle decine di specie animali che scompaiono ogni giorno, al fatto che l’idea di giustizia dovrebbe contemplare anche una dimensione verticale, di compensazione dell’ordine cosmico.
L’ordine cosmico lo abbiamo infranto per quello che riguarda la natura e non abbiamo nessuna idea di cosa significhi da un punto di vista sottile la riparazione dei torti subìti. Nemesi viene scambiata per la dea della legge del taglione, per cui se tu mi tagli una mano io taglio una mano a te, ma non si riduce a questo. Nei popoli in cui l’idea di compensazione è ancora viva, per esempio in Africa, si può compensare un torto persino con una somma di denaro o con una azione simbolica che sposta il livello di percezione delle azioni e delle compensazioni su un altro piano.
Un altro aspetto è l’umorismo. Lo scopo della commedia e della tragedia antica era sacro: offrire a chi vi assisteva una doppia vista sugli eventi. Una vista, diciamo così, letterale e una vista simbolica, che parlava all’anima. La doppia vista offerta dalla tragedia faceva leva sul dipanarsi di vicende che vedevano, soprattutto in Esiodo, il protagonista prendere su di sé il peso dell’ordine cosmico infranto e sanare la ferita. Nella commedia invece si rideva, e questo riso era fondamentale, non era il riso della derisione o il riso volgare, ma un riso che scaturiva dal vedere simultaneamente ciò che le cose pretendono di essere e quel che sono veramente. Uno dei meccanismi fondamentali della comicità, per esempio nelle gag di Totò o dei Monty Python, si basa sullo smascherare il vero volto di persone e situazioni a dispetto delle apparenze.
Quando si riesce a percepire simultaneamente le due cose si ride, e questo è un momento di coscienza, profondo e catartico. Questa è un’altra cosa che stiamo perdendo perché, come dice il senso comune, per ridere ci vuole spirito. Se non si ha spirito non si ride, si deride, si indica. E questo è un atto aggressivo, non un atto di crescita della coscienza. Un altro capitolo riguarda la mancanza di luoghi ed occasioni in cui far dialogare tra loro la cultura umanistica, quella religiosa e quella scientifica. Questo compito è stato assolto, per esempio, nella prima parte del Novecento da Eranos in Svizzera, un posto dove sono passati Jung, Bernard, Kerényi, Schrödinger, Zimmer, Wilhelm, Tucci e tante altre personalità fondamentali per la spiritualità del secolo passato. In questo momento non c’è nessun luogo che assolva a questa funzione, ed è difficile persino immaginare un futuro luminoso se gli spiriti più illuminati non dialogano tra loro. Oggi apparentemente non c’è nessuno che elabori una visione del futuro possibile al servizio dell’intera umanità. Assistiamo alla competizione per la presidenza degli Stati Uniti e ad altre competizioni analoghe in tutto il mondo, tra leader che non offrono nessuna visione che ci porti almeno fino a dopodomani.
Si può definire un ordine cosmico dal punto di vista scientifico?
Direi di no, nel senso che l’obiettivo della scienza – e di quella sperimentale in particolare – è giungere a conclusioni provvisorie attraverso eventi ripetibili su cui tutte le comunità scientifiche possano dichiararsi d’accordo e che siano anche falsificabili sperimentalmente, seguendo Popper. Ad esempio, non avrebbe senso chiederci, nella realtà ultima delle cose, quali siano l’esatta velocità e posizione di una particella elementare, dato che, per il Princìpio di Indeterminazione di Heisenberg, possiamo misurare con precisione assoluta solo una di queste due grandezze. L’altra sarà soggetta a un intervallo di indeterminazione tanto più ampio quanto più è precisa la misurazione della prima grandezza.
Inoltre, nessuna affermazione assoluta e definitiva può far parte della scienza. Nei capitoli del libro dedicati alla matematica e alla fisica ho cercato anche di mostrare come esista sempre un equilibrio tra ordine e caos nelle teorie matematiche e fisiche. Ma per tornare alla tua domanda, la scienza deve essere affiancata da una bilancia, cioè dal senso di ciò che è importante, ciò che ha valore per l’anima, e di ciò che non lo ha.
Questo la scienza in sé non ce lo potrà dare mai. La scienza ci può dire che, date certe condizioni, si verificano certe conseguenze, certe volte sbagliando e certe volte no. Però non può darci il senso dell’ordine cosmico. I filosofi del passato che univano scienza e religiosità percorrevano questa strada cercando di armonizzare il microcosmo dell’individuo, il microcosmo umano, col macrocosmo dell’universo che ci circonda. Una via sapienziale percorsa anche da alcuni movimenti ermetici, come quello Rosacrociano.
Agli albori del cristianesimo c’è Origene che nell’Omelia del Levitico dice che nell’uomo c’è un sole, una luna e anche le stelle, che cercando in noi stessi, in profondità, troveremo le galassie più lontane. Le stesse parole del Tao Te Ching taoista: «Senza uscire dalla porta conoscere il mondo. Senza guardare fuori dalla finestra vedere la via del cielo». Gli sciamani di tutte le latitudini dicono la stessa cosa. La scienza può dare il suo contributo a questa visione verificando che le leggi che regolano il microcosmo sono identiche alle leggi che reggono il macrocosmo. Forse siamo vicini a formulare una teoria del campo unificato, quella che sognava Einstein. Ma la tensione verso l’ordine cosmico è qualcosa che appartiene al mondo dei valori, non al mondo della scienza. Gli ultimi sviluppi della fisica quantistica ci aiutano a pensare che nell’universo le cose possano essere in effetti connesse tra loro, anche a enormi distanze. Ma non confonderei in nessun caso il dominio di applicazione della fisica con quello della metafisica o della religiosità. Tuttavia molti hanno lavorato per affiancare gli studi dei fisici al mondo dei valori, penso a Capra, a Bohm o a Bernardo Kastrup.
Mi sembra che la fisica quantistica apra alla possibilità che il mondo non sia soltanto materia ma ci sia qualcos’altro…
La fisica quantistica non nega che questa possibilità esista. Solo che i riduzionisti si comportano proprio come gli americani del Fantasma di Canterville di Oscar Wilde: in un castello inglese un povero fantasma si fa in quattro per far capire ad alcuni turisti americani di essere uno spettro, cerca anche di spaventarli, ma a ogni suo tentativo loro oppongono sempre una spiegazione scientifica triviale, lo «riducono» ad altro, frustrandolo mortalmente, fino a deprimerlo. E per deprimere un fantasma ce ne vuole…
Come hai scelto il nome della casa editrice e della band musicale?
La casa editrice, che ad oggi ha pubblicato 160 libri, è nata nel 2007 con l’intento di offrire al pubblico nuove chiavi per interpretare il presente e affrontare il futuro. Quale nome poteva essere più adatto di Lepre Edizioni, cioè Le Predizioni? Inoltre la lepre è un animale mercuriale, è sacra al dio della comunicazione e della velocità, che può attraversare in un istante tutti i piani dell’essere, dal più materiale al più sottile.
Per ciò che riguarda la band, quando nel 2017 abbiamo pubblicato il primo album, ho deciso di intitolarlo Saturn’s Children perché contiene ben 32 canzoni scritte negli ultimi venti anni. Come Saturno, che nel mito inghiotte tutti i suoi figli e poi li dà alla luce tutti insieme (dopo aver ingoiato una pietra al posto di Giove), mi ero tenuto in pancia tutte quelle canzoni per un ventennio e darle alla luce è stato un atto veramente liberatorio. La band ha ereditato questo nome, ma non ha nulla della pesantezza di Saturno, forse qualcuna delle sue virtù come dio dell’età dell’oro.
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