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Realtà e finzione della pace

Volodymyr Zelensky alla conferenza di pace di Lucerna, in SvizzeraVolodymyr Zelensky alla conferenza di pace di Lucerna, in Svizzera – Michael Bulholzer /Epa via Ansa

Da Fasano a Lucerna Da “vicino a Fasano” fino a “sopra il lago di Lucerna”. Da Borgo Egnatia a Bürgenstock, lo sguardo sul mondo dei leader occidentali trasloca da un complesso di lusso ad […]

Pubblicato 5 mesi faEdizione del 16 giugno 2024

Da “vicino a Fasano” fino a “sopra il lago di Lucerna”. Da Borgo Egnatia a Bürgenstock, lo sguardo sul mondo dei leader occidentali trasloca da un complesso di lusso ad un altro.

Meloni si è detta orgogliosa di aver mostrato al mondo un vero borgo italiano, lasciando tutti a bocca aperta davanti al genus loci (tradizioni, artigiani, donne che fanno le orecchiette), ma alla stampa internazionale non è sfuggito di trovarsi in una masseria di plastica, pura imprenditoria turistica.

Questa esibizione di un’Italia da cartolina immaginata ricorda come la Francia abbia scelto per le Olimpiadi un’iconografia da anni 50, tutta basco e baguette, l’idillio che precede il conflitto sociale, il Sessantotto, le contraddizioni del presente. Quanto può essere reale il mondo che si disegna fra queste scenografie?

Al netto di selfie, cuochi stellati e conclusioni convenientemente limate, il principale deliverable del G7 è stato il pacchetto di aiuti per l’Ucraina. Se ne discuteva da tempo, facendo tremare il Fondo Monetario Internazionale: toccare gli asset russi congelati può costituire un precedente e destabilizza i mercati finanziari, mentre occorre fare attenzione all’inflazione ucraina.

La soluzione è modulata così da soddisfare un po’ tutti, ma non è l’unica novità che inciderà sulla realtà della guerra. Il fronte sembra più stabile rispetto a dieci giorni fa. Le basi di lancio in territorio russo sono nel mirino, e le vie di Kharkiv tornano ad animarsi.

Al tempo stesso, dopo le sanzioni del Tesoro Usa che hanno colpito il mercato delle valute e diversi meccanismi di elusione, a Mosca si sono viste file agli sportelli bancari.

Certo i russi ancora avanzano, ed usano le parole di chi pensa di avere il tempo dalla propria parte. Non sono stati invitati sul lago di Lucerna. Ma hanno declinato l’invito della presidenza della Confederazione elvetica anche Xi Jinping e Lula che a Borgo Egnatia venerdì sera ha dichiarato: «Solo una conferenza internazionale riconosciuta dalle parti, sulla falsariga della proposta di Brasile e Cina renderà possibile la pace».

Putin minaccia di far pagare care le misure del G7, e si prende la scena elencando le condizioni per ritirare le truppe: il riconoscimento dell’annessione delle regioni ucraine parzialmente occupate, la rinuncia all’adesione alla Nato, la de-nazificazione del Paese.

La premier estone, Kaja Kallas, ripete come le tattiche negoziali di Mosca ricordino le parole dell’inossidabile ministro degli esteri sovietico, Andrej Gromiko: chiedere il massimo, poi minacciare e infine, al tavolo negoziale, non cedere un millimetro, perché ci sarà sempre qualcuno fra gli occidentali pronto a concedere qualcosa, e concluderemo con almeno un terzo di qualcosa che non aveva prima.

La verità è che la Russia sente il peso politico dell’offensiva diplomatica ucraina.

All’albergo alpino Zelensky arriva dopo un rapprochement con Biden, su invito di Macron alle celebrazioni dello sbarco in Normandia. E poi passato da Berlino, prima al Reichstag, poi alla Conferenza sulla ricostruzione dell’Ucraina (2.000 presenze). Infine ha incassato 50 miliardi al G7 di Borgo Egnatia.

Il messaggio è rimasto lo stesso: la prossima fase della guerra dipende da voi. Sul versante domestico, in effetti, non gli mancano problemi, con accuse di crescente vocazione autoritaria.

La mobilitazione forzata sta costando popolarità: a Odessa un gruppo di medici è stato chiamato in emergenza al centro di reclutamento, trovandosi trattenuto per arruolamento, con conseguente rissa.

Escluso dalla conferenza di Berlino, il capo dell’Agenzia per la Ricostruzione, Mustafa Nayyem, si è licenziato.

Ma sul piano internazionale Zelensky dispone di nuovo credito e nuovi crediti, inclusa l’accelerazione sull’apertura dei negoziati per l’accesso alla Ue e un accordo militare bilaterale con gli Usa che intende consolidare “a prova di Trump” il vincolo ucraino con l’Occidente.

A Bürgenstock sono presenti più delegazioni dal Sud globale di quante se ne sono viste in passato. L’obiettivo della diplomazia elvetica è ampliare la base di consenso, non tanto sul piano che il leader ucraino sventola dal G7 del 2022, quanto piuttosto con adesioni su principi più ampi e direttamente ancorati alla Carta Onu: sicurezza nucleare, sicurezza alimentare e libertà di navigazione.

Il proposito è mettere al centro della politica globale una piattaforma per la pace basata su principi condivisi, davanti ai quali l’opzione russa appaia il frutto di una logica di forza che non conviene a nessuno.

Anche la via della pace passa per un test di realtà, non potendo permettersi una semplice scenografia di cartapesta.

Dissuadere Putin, mostrando che la carneficina porta solo ad approfondire le contraddizioni a cui la Russia si è esposta, resta un compito maledettamente difficile, che peraltro l’agenda bellicista dei falchi non sembra in grado di assolvere, mentre anche il quadro domestico ucraino va complicandosi.

In questi giorni abbiamo visto svilupparsi un’altra sceneggiatura, così convulsa da parere fiction.

A Parigi, lo scioglimento dell’Assemblea nazionale ha mandato in fibrillazione le forze politiche, con tanto di psicodramma di gaullisti ed estrema destra.

Nel giro di una manciata di giorni, le sinistre si sono unite nel Nuovo Fronte Popolare, con un programma che prevede significativamente il sostegno all’Ucraina così una Francia che ridà voce alla pace.

Non era scontato. Gli esiti per l’Europa possono essere imprevedibili.

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