«Mi dispiace, non c’è corrente». Pavel, alla reception di un hotel di Odessa sospira, probabilmente si dispiace più per sé stesso che per l’ospite. Per l’ennesima notte in città si dovrà rimanere senza luce. Così anche a Sumy, colpita ieri dai missili russi.

Il presidente Zelensky chiede più armi e ringrazia la Svezia per un nuovo pacchetto di aiuti militari da 7 miliardi di euro appena approvato, ma è chiaro che quelle armi non risolveranno i problemi dei civili ucraini nell’immediato. Anche quando non uccidono, i missili russi continuano a creare enormi disagi ai civili nelle retrovie. E 27 mesi sono un’eternità. Allora il leader ucraino, al suo terzo giorno da presidente ad libitum in quanto il suo mandato è scaduto ufficialmente lunedì, chiede di più: gli aerei delle Nato dovrebbero abbattere i missili russi nello spazio aereo ucraino.

TALI RICHIESTE non rassicurano la popolazione. Innanzitutto perché è chiaro che nell’est le cose non stanno andando bene. Nei chioschetti in strada e nei locali con la tv si ascoltano spesso i notiziari. Le persone iniziano a prestare più attenzione alle notizie sull’andamento della guerra e se fino a qualche tempo fa avevamo parlato di una certa abitudine alla guerra ora potremmo dire che siamo quasi alla stanchezza.

Non la «stanchezza di guerra» che evocavano i media occidentali rispetto alla tenuta del blocco pro-ucraino, ma il più semplice esaurimento della capacità di sopportazione. Si nota una certa apprensione quando si parla di Kharkiv, ieri i russi annunciavano la conquista di ben 49 centri urbani dall’inizio delle operazioni nella zona, e tra le persone si possono distinguere due categorie.

Da un lato gli uomini che non sono arruolati, chi per aver superato i limiti di età chi per motivi poco chiari. Questi rispondono quasi sempre con ostentata sicurezza «li ricacceremo oltre il confine». Fanno parte di questa categoria anche gli omoni pieni di tatuaggi che hanno tutti i simboli nazionalistici possibili dai cappelli alle scarpe ma che alla domanda «come mai non sei nell’esercito?» nicchiano o si arrabbiano e smettono di rispondere.

La mancanza di rotazione delle truppe al fronte, l’aveva detto il fu Comandante Zaluzhny e l’ha ripetuto nei giorni scorsi Zelensky, è uno dei problemi al momento più gravosi per le forze armate ucraine. Dall’altro lato che chi, e si tratta della maggioranza, non sa bene cosa stia succedendo ma ha capito che le cose non vanno come dovrebbero.

LA TV E I MEDIA ucraini continuano a diffondere il messaggio che la resistenza continua, che i russi perdono migliaia di uomini e che l’avanzata nemica è stata contenuta. Ma l’entusiasmo è quasi sparito e, seppure non siamo ancora all’abbattimento, c’è molta stanchezza.

Soprattutto perché continuano a riproporsi le stesse situazioni. A Odessa si vede chiaramente che gli attacchi russi dalla distanza hanno avuto effetti significativi. Le centrali energetiche danneggiate non hanno ripreso a funzionare a pieno ritmo, anzi i russi continuano a colpirne di nuove, e le varie amministrazioni locali ucraine sono costrette a razionalizzare, alternando i tagli di corrente per un quartiere alla volta.

Gli allarmi continuano a suonare e nel sud la paura maggiore è per le aree portuali, dove si trovano i depositi di grano e le strutture commerciali navali oltre ai fondamentali depositi di idrocarburi che sostengono lo sforzo della macchina bellica ucraina. Qui è ancora molto difficile incontrare qualcuno che dica chiaramente di volere che «la guerra finisca a ogni costo». L’odio per Putin è tutt’altro che sopito, gli ucraini lo incolpano in prima persona per questi ultimi due anni. Ma è evidente che iniziano a pensare alla necessità di porre fine al conflitto in qualche modo, anche senza armi. Questa normalità di facciata non può durare in eterno.

SOLO CHI GIRA con le grosse Mercedes o le Tesla con gli stereo a tutto volume può permettersi la normalità. Sono gli stessi che fino al coprifuoco riempiono i bar e i night club. Nell’est i locali sono chiusi, non si può brindare e la guerra si combatte a colpi di fucile, non a chi la spara più grossa. Si muore davvero, non di stanchezza o di noia. E sono sempre questi imboscati a parlare di resistenza fino all’ultimo uomo e a brindare compunti agli uomini al fronte evocandoli come «fratelli».

Al fronte lo sanno che in molti, soprattutto benestanti, hanno trovato il modo di farsi riformare e che è anche per questo che non si riceve il cambio. Ma la guerra è anche questo e mentre un «fratello» muore, l’altro, ubriaco, ci prova con la sua vicina di tavolo.