In una viuzza a due passi dalla Gare du Nord a Parigi, una signora cerca di fendere la folla di giornalisti accampati davanti a un anonimo palazzo di due piani. «Che succede?», chiede. «La gauche sta negoziando il programma», spiega un cronista. «Ah, allora siamo dans la merde», risponde la signora con aplomb.

E invece l’accordo è arrivato.

Dopo una giornata in cui tutto è sembrato in bilico, ieri sera è arrivato il comunicato congiunto dei partiti della sinistra francese: il Fronte Popolare si farà, con «delle candidature uniche» sulla base di un «programma politico di rottura».

Un testo breve e conciso, che permette di tirare un sospiro di sollievo, dopo che le negoziazioni erano addirittura state sospese per diverse ore in mattinata.

Secondo quanto riportato dal quotidiano Libération, da un lato le fazioni conservatrici del Ps, coadiuvate da Place Publique, il partitino di Raphaël Glucksmann, non avevano ancora digerito il fatto che la dirigenza del partito abbia deciso di negoziare con La France Insoumise di Mélenchon; dall’altro, questi ultimi ritenevano che i socialisti stessero tirando troppo la corda per ottenere un maggior numero di circoscrizioni.

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Ma fuori dal palazzo dove i leader della sinistra erano riuniti, ieri, filtrava in effetti un certo ottimismo. «La realtà è che non c’è più nessun blocco, ormai si sta semplicemente concludendo la scrittura del programma, sono 300 pagine, è normale che ci voglia tempo», ha detto un insoumis che partecipa ai negoziati.

Davanti all’ingresso presidiato dai giornalisti, un altro gruppo di persone ingombrava il marciapiede: una trentina di manifestanti, per lo più lavoratori dello spettacolo, venuti per mettere fretta ai partiti.

«Un governo di estrema destra», ha spiegato Gala, lavoratrice dello spettacolo della Cgt, «sarebbe un rischio mortale per i lavoratori del settore, per la cultura, per tutta la società francese. Vediamo che i negoziati arrancano per delle ragioni da politicanti, ma per la nostra vita è essenziale che raggiungano un accordo».

Verso l’ora di pranzo, quando i pourparlers avevano ripreso, il leader dei comunisti, Fabien Roussel, si era detto in tv «molto ottimista», malgrado certi ostacoli sulle candidature. Ostacoli ben lungi dall’essere dei meri tatticismi elettorali, come dimostrato dai casi di Adrien Quatennens e di Julien Bayou.

Il primo, deputato Lfi di Lille, è stato condannato nel 2022 per violenze coniugali e difeso a oltranza dagli insoumis, che vorrebbero ricandidarlo, malgrado le critiche dei movimenti femministi.

Il secondo, deputato dei Verdi, è accusato di violenze psicologiche e comportamenti sessisti, per i quali è stato oggetto di una commissione d’inchiesta interna, prima di lasciare il gruppo parlamentare ecologista ad aprile. La dirigenza dei Verdi ha fatto sapere che Bayou «non sarà candidato», ma l’interessato ha tutta l’intenzione di ripresentarsi alle elezioni.

Nel pomeriggio, un altro segnale era arrivato da Mélenchon. Il leader degli insoumis ha scritto su X che declinava l’invito a partecipare al dibattito televisivo organizzato tra il candidato macronista, Gabriel Attal, e quello del Rassemblement National, Jordan Bardella.

«Il Nuovo Fronte Popolare non ha ancora designato il suo candidato premier», ha twittato Mélenchon, per il quale la partecipazione a un tale evento mediatico spetta «ai capi dei grandi partiti della nostra coalizione».

Un gesto accolto con sollievo dai militanti insoumis accampati davanti agli uffici dove la gauche è riuscita in un exploit a cui in pochi avrebbero creduto fino a pochi giorni fa.