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Navi Ong, la relatrice speciale Onu all’Italia: detenzioni ingiustificate

Navi Ong, la relatrice speciale Onu all’Italia: detenzioni ingiustificateUn soccorso della Geo Barents di Msf – LaPresse

Mediterraneo centrale Critiche al decreto Piantedosi e alla strategia di assegnare porti lontani ai soccorritori. «I fermi rappresentano una restrizione del diritto alla libertà di associazione e di quello a promuovere e proteggere i diritti umani»

Pubblicato 3 mesi faEdizione del 21 agosto 2024

«Sottolineiamo la nostra preoccupazione per il fatto che queste detenzioni sono state senza giustificazione e rappresentano una restrizione del diritto alla libertà di associazione e di quello a promuovere e proteggere i diritti umani». La prima firma in calce alla lettera rivolta al governo italiano è della Relatrice speciale sulla situazione dei difensori dei diritti umani Mary Lawlor, accompagnata da quelle di Cecilia M. Bailliet, Esperta indipendente sui diritti umani e la solidarietà internazionale, e di Gehad Madi, Relatore speciale sui diritti umani dei migranti. Tutte e tre le figure appartengono alle Nazioni unite e agiscono sotto il mandato del Consiglio per i diritti umani dell’Onu.

LA MISSIVA RISALE al 31 maggio scorso. La risposta di Roma, attraverso una «Nota verbale» della missione permanente a Ginevra, al 5 agosto. Il carteggio è stato reso pubblico ieri. A farlo partire due episodi che hanno attirato l’attenzione sulla gestione italiana del soccorso civile nel Mediterraneo centrale. Risalgono a marzo 2024 e riguardano una missione della Sea-Watch 5 e una della Geo Barents, entrambe terminate con un fermo amministrativo.

Il primo caso è particolarmente drammatico perché tra le 56 persone soccorse il 6 di quel mese alcune erano incoscienti e un ragazzo di 17 anni ha perso la vita a bordo mentre le autorità competenti si rimpallavano le responsabilità. Nonostante il cadavere sul ponte, il Viminale aveva originariamente indicato come porto di sbarco Ravenna (1.500 chilometri di distanza), modificato in Pozzallo solo al termine di un braccio di ferro. La nave di Msf, invece, è stata spedita un paio di settimane più tardi a Marina di Carrara (lontana 1.150 chilometri).

DUE ESEMPI del nuovo corso cui sono sottoposte le imbarcazioni umanitarie dopo l’insediamento del governo Meloni: da dicembre 2022 sono costrette a raggiungere scali lontanissimi al termine di ogni salvataggio (con poche eccezioni); da gennaio 2023, quando entra in vigore il decreto Piantedosi poi convertito in legge, subiscono detenzioni a pioggia. 23 in totale, relative a dieci navi, secondo i dati contenuti nella risposta italiana all’Onu.

La relatrice speciale Lawlor, e gli altri due co-firmatari, hanno espresso preoccupazione per la possibile incompatibilità della norma nazionale e della strategia di assegnazione dei porti lontani con trattati e diritto del mare. In particolare con la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (Unclos) e la Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare (Solas), ma anche con le linee guida dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) e la Convenzione internazionale sui diritti civili e politici (Iccpr). Quest’ultima, sottoscritta dall’Italia nel 1978, impone agli Stati un impegno proattivo a tutela della vita umana. «Proattività» che però, quando di mezzo ci sono i migranti, si è andata perdendo nel corso degli anni.

IL GOVERNO ITALIANO ha difeso il proprio operato sostenendo che l’indicazione dei porti va inserita in un più complesso piano di gestione dei flussi e ribadendo che la rotazione tra gli scali e il coinvolgimento di quelli del nord, che comunque vale solo quando di mezzo ci sono le navi Ong, serve ad alleggerire il peso che ricade su Calabria e Sicilia. Nel caso dell’isola viene sottolineato come nel periodo estivo e di altre vacanze scarseggino i bus per i trasferimenti.

Sui porti lontani finora l’esecutivo ha avuto ragione davanti a due Tar. In un caso anche davanti al Consiglio di Stato, dove pende un secondo ricorso. Discorso diverso per la legge Piantedosi da cui originano i fermi: nonostante il governo sostenga che serva a bilanciare il controllo dei flussi con la tutela della vita umana, i tribunali hanno annullato in via cautelare diversi fermi e dato ragione nel merito a tre Ong. Nell’ambito di uno dei ricorsi sono emersi dubbi sulla sua legittimità costituzionale: il tribunale di Brindisi potrebbe interrogare la Consulta, o anche la Corte di giustizia Ue.

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