Italia

Il tribunale di Catania disapplica il nuovo decreto «paesi sicuri»

Il tribunale di Catania disapplica il nuovo  decreto «paesi sicuri»L'hotspot di Shengjin – Ansa

Rimpatriota Liberati cinque richiedenti asilo di Bangladesh ed Egitto. La decisione anticipa i prossimi trasferimenti in Albania. Intanto Roma rinvia il dl a Lussemburgo. Governo in allarme rosso. Salvini: «Giudici comunisti»

Pubblicato circa 2 ore faEdizione del 5 novembre 2024

Il decreto legge sui «paesi sicuri» è finito in fuori gioco alla prima azione d’attacco: ieri il tribunale di Catania lo ha disapplicato, liberando cinque richiedenti asilo di Egitto e Bangladesh dal centro di Modica. «Non sono paesi sicuri», il succo delle decisioni. Una è firmata dal presidente della sezione specializzata in immigrazione Massimo Escher.

Le argomentazioni sono le stesse che le toghe etnee usano da settembre: nei casi di Tunisia, Bangladesh ed Egitto accostano le «schede paese», che descrivono le situazioni di ogni Stato, al dettato della legge. E così emergono contraddizioni e forzature. Nelle ultime settimane erano sopravvenute due novità. Il 4 ottobre la Corte di giustizia Ue ha pubblicato l’ormai nota sentenza che, tra le altre cose, riconosce al giudice l’obbligo di verifica sulla definizione di «sicurezza» dei paesi: dal momento che impatta sui diritti fondamentali dei richiedenti asilo – rendendo possibili iter «accelerati» per le domande, con garanzie ridotte e privazione della libertà personale – serve un controllo giurisdizionale. Il 24 del mese, poi, è entrato in vigore il dl che aggiorna l’elenco dei paesi sicuri, lo eleva a norma primaria ed elimina il riferimento alle schede paese.

PER GIORNI IL GOVERNO ha millantato che in questo modo la regola – che è anche alla base dei trattenimenti in Albania, per cui scatta un nuovo allarme rosso – non sarebbe potuta essere disapplicata. «Essendo legge i magistrati sono tenuti a rispettarla. Se ritengono violi la Costituzione devono ricorrere alla Consulta», aveva detto il guardasigilli Carlo Nordio. Ma era evidente non fosse così. Tra gli altri lo ha ricordato sabato l’Associazione italiana studiosi dell’Ue, che riunisce la maggior parte di docenti e ricercatori in materia: «Esprimiamo profonda preoccupazione per le diverse inesattezze espresse da alcuni esponenti del mondo istituzionale e universitario in merito ai rapporti tra diritto nazionale e Ue».

Se il governo voleva dei rinvii ai tribunali superiori, comunque, può dirsi accontentato. Sebbene non siano diretti alla Corte costituzionale ma a quella di giustizia Ue. Dopo il tribunale di Bologna, giovedì scorso hanno trasmesso gli atti in Lussemburgo i giudici romani della sezione specializzata in immigrazione. Il provvedimento, che nasce del ricorso contro il diniego dell’asilo di una delle 12 persone rinchiuse nei centri albanesi, è firmato dalla presidente Luciana Sangiovanni. Quattro i quesiti rivolti ai magistrati europei: se l’elenco paesi sicuri può essere una norma primaria; se questa può fare a meno dei riferimenti alle schede paese e alle fonti indipendenti richieste dalle direttive Ue; se il giudice può consultare autonomamente tali fonti; se il paese può essere considerato «di origine sicuro» anche quando ci sono categorie di persone per cui quella definizione non vale.

«PER COLPA DI ALCUNI GIUDICI comunisti che non applicano le leggi il paese insicuro ormai è l’Italia», attacca su X il leghista Matteo Salvini, che all’avvicinarsi della sentenza sul caso Open Arms sta moltiplicando gli avvistamenti di falci e martelli nelle aule di tribunale. Dalle parti dell’opposizione l’accento ricade sulla decisione di Catania. Per il deputato dem Matteo Mauri: «Piantedosi è stato sconfessato, il governo blocchi subito i nuovi trasferimenti in Albania» (ricominciati ieri, mentre il ministro dell’Interno esprimeva fiducia nel dl). «L’esecutivo sta perseguendo la strategia dello scontro con la magistratura. L’alternativa sarebbe ammettere che la soluzione dei centri per migranti in Albania è fallita», attacca Riccardo Magi (+Europa).

Da Palazzo Chigi fanno trapelare «rabbia» perché «il problema vero, al di là del protocollo con Tirana, è che stando alle pronunce di alcuni giudici i rimpatri non avrebbero più ragione d’essere e dovremmo tenerci tutti gli irregolari in Italia». Una tesi che la premier Giorgia Meloni aveva sostenuto subito dopo il primo flop albanese, ma che serve soltanto a creare confusione e alzare il tiro contro i magistrati che prendono decisioni sgradite all’esecutivo.

LA DESIGNAZIONE di «paese sicuro», infatti, è solo un presupposto procedurale che serve a scegliere il tipo di esame della domanda d’asilo: ordinaria o accelerata, in detenzione o libertà. Il problema del governo è che vuole detenere in massa i richiedenti asilo con due anni di anticipo rispetto a quando lo permetteranno i regolamenti europei: per questo continua a sbattere contro il diritto comunitario. I rimpatri, però, non c’entrano nulla: se una persona originaria di un paese «sicuro» riceve un diniego alla protezione può essere comunque riportata a casa, ammesso che l’Italia abbia un accordo con lo Stato di cui è cittadina. Lo dimostrano, ad esempio, i rimpatri verso l’Egitto effettuati negli anni scorsi, ben prima che il paese di Al-Sisi fosse definito «sicuro» da quello di Meloni.

ABBONAMENTI

Passa dalla parte del torto.

Sostieni l’informazione libera e senza padroni.
Leggi senza limiti il manifesto su sito e app in anteprima dalla mezzanotte. E tutti i servizi della membership sono inclusi.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento