Trieste, nessuna soluzione dopo lo sgombero dell’ex Silos
Migranti Prefettura e comune volevano smistarli in Carso ma la struttura non è agibile: l’ex Campo Scout non è collegato alla rete, il prato si allaga con i liquami di fogna
Migranti Prefettura e comune volevano smistarli in Carso ma la struttura non è agibile: l’ex Campo Scout non è collegato alla rete, il prato si allaga con i liquami di fogna
Lo avevano detto, scritto, gridato: sgomberare il Silos non avrebbe risolto alcunché, avrebbe semmai incrudelito il problema buttando in strada centinaia di persone che dentro il Silos trovavano rifugio. Era il 21 giugno scorso, sindaco e prefetto ostentavano soddisfazione: chi arriva sarà ospitato nell’ex Campo Scout in Carso e da lì, rapidamente, trasferito altrove. Quasi non si sapesse che l’80% di quanti arrivano a Trieste è in transito e cerca un posto dove appoggiarsi in attesa di un treno. Non intendono fermarsi in Italia, servirebbero servizi di bassa soglia non Cas. D’altra parte anche il Cas sul Carso sembra una beffa.
La stazione centrale, di fianco il Silos, è nel centro della città che si allunga sul mare. Duecentocinquanta metri più su, l’altopiano del Carso che abbraccia Trieste su due lati: verdissimo, rosso di scotano d’autunno, pietraie e muretti a secco, paesini antichi e nuove villette sparse, nascoste da muri e siepi. Lungo una delle strade provinciali che lo attraversa si affaccia quello che per decenni è stato un Ostello Scout: 20mila metri quadrati con un parco e diverse palazzine basse con il dormitorio, la cucina e una grande sala dove pranzare.
Non proprio in mezzo al niente ma certo in mezzo al poco: difronte una ventina di case sparse, a 300 metri un supermercato e poi la fermata dell’autobus che però spesso passa oltre senza fermarsi. Con la pandemia il Comune, proprietario, aveva allontanato gli scout e parcheggiato lì gruppi di migranti. Quest’anno, dal primo luglio, è in concessione alla Prefettura e attualmente ospita una settantina di migranti, ben meno dei 200 preventivati dal comune. Di più non ci stanno perché sei edifici più i servizi igienici esterni sono dichiarati inagibili e restano solo tre i moduli utilizzabili.
Si era pensato a prefabbricati offerti (e consegnati) da Unhcr ma i vigili del fuoco ne avevano vietato il montaggio perché risultavano non adatti ad affrontare le intemperie. Il comune, poi, si era impegnato a rifare la recinzione esterna e il sistema fognario ed ecco un nuovo scandalo. Quel territorio non è allacciato a una rete fognaria, sempre difficile da realizzare tra le pietre e le cavità del sottosuolo, così ci si adatta con pozzi neri che ovviamente esigerebbero una manutenzione costante. Negli ultimi anni, con centinaia di migranti ospitati, il prato si è allagato di liquami con gli interventi di spurgo sempre abborracciati a posteriori tanto che il servizio di prevenzione dell’Azienda sanitaria locale, già nel 2022, aveva analizzato il terreno segnalandolo contaminato dalle fogne. C’era tutto il tempo per provvedere ma, a oggi, niente si è mosso.
Resta allora, ancora, solo la piazza davanti alla stazione, in città, e suonano poco credibili le affermazioni che il problema si risolverà da solo perché gli arrivi sarebbero già drasticamente diminuiti grazie alla sospensione di Schengen e all’opera di contrasto dell’immigrazione irregolare. Non è quello che sostengono le tante associazioni unite che non a caso hanno titolato l’ultimo report «Silos vuoto, strade piene»: c’è stata una flessione negli arrivi, sì, ma contenuta intorno al 13% rispetto all’anno scorso, dato che oltretutto si allinea con quelli pubblicati dalla Slovenia che dichiara un meno 11%. E non cambia la sostanza, con una media di 55 arrivi giornalieri che però si sommano con quanti aspettano un appuntamento in Questura e quelli già titolari di diritto d’asilo che aspettano si liberi un posto in accoglienza.
In maggioranza uomini adulti ma anche nuclei famigliari, minori non accompagnati e donne sole dall’Afghanistan, dalla Siria e dal Kurdistan turco. I posti in accoglienza sono pochissimi e l’unico centro diurno chiude la notte come la stazione e i bar intorno. Così davanti alla stazione centrale continuano ad ammassarsi perché lì c’è la rete delle associazioni che garantiscono le prime cure, una cena, un paio di scarpe. Non c’è un bagno, non un rifugio, c’è qualche panchina e un po’ d’erba sotto gli alberi dove si tenta di dormire avvolti nei teli dorati offerti dai volontari, poco importa se ci sono ragazzi feriti e traumatizzati o mamme e neonati con bambini stanchi e spaventati.
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