«Chi è capace di conseguire la vittoria adattando la sua tattica in base alla situazione del nemico, quegli può dire di possedere un’abilità superiore». Chissà se il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha pensato a questo insegnamento di Sun-Tzu per modificare la strategia di contrasto alle Ong del Mediterraneo. Sia le anticipazioni sul prossimo codice di condotta per le navi umanitarie, sia la nuova prassi di assegnazione rapida del porto allontanano il Viminale dai toni roboanti dei «porti chiusi» salviniani ma anche dall’esibizione muscolare di inizio novembre. Quando attraverso un decreto interministeriale contestatissimo e poi gli «sbarchi selettivi» cercò di impedire lo sbarco a quattro navi.

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In quell’occasione costituzionalisti, medici, governi di altri paesi membri e le stesse istituzioni europee, con la presa di parola della Commissione, avevano chiarito che Roma non può impedire i salvataggi e che i naufraghi devono sbarcare. In Italia, data la collocazione geografica e l’anomalia della piccola isola-Stato di Malta. Invece dello scontro frontale il governo sembra ora aver individuato una strategia più sottile: ridurre l’operatività delle Ong, moltiplicare i costi dei soccorsi. Attraverso il combinato di due mosse che rischiano di mettere in scacco almeno una parte della flotta umanitaria, le navi più grandi. La prima è assegnare immediatamente il porto dopo il primo soccorso. La seconda è indicare una meta lontana.

È QUANTO ACCADUTO tra sabato e domenica alle tre navi in missione: Rise Above, Sea-Eye 4 e Life Support (di Emergency). Venerdì la prima imbarcazione, piccola e veloce dunque non una vera e propria nave, ha salvato 63 persone poi trasbordate sulla più grande Sea-Eye 4. Sabato ha realizzato un secondo soccorso: 27 naufraghi. Lo stesso giorno Roma ha assegnato Gioia Tauro alla Rise Above e addirittura Livorno alla Sea-Eye 4. Stesso schema domenica: la Life Support ha soccorso 70 persone alle 5 di mattina e sei ore dopo ha ricevuto Livorno.

L’assegnazione rapida del porto rispetta in pieno le convenzioni internazionali. Allo stesso tempo, però, svela che gli attacchi del governo alle Ong sul mancato rispetto delle regole erano solo strumentali e che l’unico obiettivo è evitare, o quantomeno limitare, i salvataggi. Le navi, infatti, dovranno risalire per centinaia di miglia nautiche dopo ogni intervento allontanandosi dalla zona di ricerca e soccorso. Soprattutto perché i porti sono indicati sì rapidamente, ma a distanze sempre maggiori. Ciò contravviene al fatto che lo sbarco dovrebbe avvenire nel più breve tempo e nel porto sicuro più vicino, ma sarà un aspetto più difficilmente contestabile in punta di diritto. La convenzione Amburgo-Sar dice che dopo i soccorsi le imbarcazioni si devono discostare «il meno possibile dalla rotta prevista». La norma è pensata per unità commerciali e non per navi che sono in mare proprio per salvare vite e dunque non hanno una rotta predefinita. Inoltre durante i due passati governi le Ong sono rimaste in attesa dei porti per giorni, senza mai protestare veramente, e hanno accettato di dirigersi lontano. A Taranto, soprattutto, ma anche a Salerno.

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L’ALLONTANAMENTO degli sbarchi è stato preparato dalla precedente titolare del Viminale Luciana Lamorgese. Con il nuovo governo è solo continuato: Bari e Salerno per le Humanity 1 e Geo Barents la settimana scorsa, Livorno per le Sea-Eye 4 e Life Support adesso. Magari la prossima volta toccherà a Genova. A quel punto davvero non si capirebbe perché in Liguria sì e a Marsiglia no, dal momento che il nodo non è mai stato sbarcare tutti in Italia ma toccare terra in porti vicini ai soccorsi per evitare lunghe traversate che complicassero le condizioni dei naufraghi.

Tra le anticipazioni del nuovo codice di condotta ci sarebbe, oltre al divieto di trasbordi e all’impegno dei capitani a prendere le richieste di asilo (di dubbia legittimità), anche l’obbligo di realizzare un solo salvataggio. Ma se questo può essere indotto attraverso l’allontanamento dalla zona di ricerca e soccorso è improbabile si possa imporre per legge. Anche se la nave deve rientrare verso il porto assegnato resta l’obbligo per il capitano, come stabilito dalle convenzioni internazionali, di fornire assistenza alle barche in pericolo. Quando c’è un caso aperto, quindi, nessun codice di condotta può impedire di rispondere a un Sos. È quanto avvenuto tra domenica e lunedì per le Life Support e Sea-Eye 4: mentre risalivano verso Livorno hanno salvato 72 e 45 migranti. Nel secondo caso l’Italia ha insistito affinché la nave continuasse a navigare «direttamente verso il porto assegnato», mentre Malta ha addirittura intimato di non intervenire perché il barchino, in mare da ben sei giorni, non sarebbe stato in pericolo. Interpretazione lontana dalle norme internazionali e dalle pronunce di diversi tribunali italiani.

INTANTO IERI a Lampedusa è arrivato un barcone con 160 persone «scortato» dal veliero Astral di Open Arms e poi, una volta in Sar italiana, soccorso dalla guardia costiera. Che ha anche salvato 41 persone naufragate a 10 miglia dall’isola. Nulla ha potuto, però, per la piccola Rokia: aveva meno di tre anni, è morta nel poliambulatorio di Lampedusa. Dove ieri il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini ha posato tra il personale della guardia costiera e dichiarato: «Abbiamo il dovere di fermare il traffico di esseri umani gestito da criminali, che porta solo morte e disperazione».