RESPIRO è una nuova rubrica del manifesto. Un collettore di articoli che riflette sui dati e la computazione come fenomeni esistenziali, culturali e politici, per solleticare immaginari non estrattivi e un approccio ecosistemico alle nuove tecnologie. RESPIRO è la concatenazione di arte, politica, scienza, ricerca e innovazione – con pronunciate simpatie cyber.punk.eco.trans.femministe – ci convivono menti eterogenee. A cura di Oriana Persico. 

 

Con Sal avevamo spesso fantasticato di fare qualcosa insieme. Lui ‘hacker’ creativo e situazionista, io infiltrato nella realtà di una ‘big tech’ multinazionale ma molto presente nelle viscere tecnologiche d’Italia. Condividevamo molte intuizioni, l’amore per la ricerca, lo spirito anti-accademico, l’allergia per il soluzionismo e le buzzword del marketing informatico.

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L’idea fondamentale che mi ha sempre legato a lui e ad Oriana è che la cosiddetta ‘trasformazione digitale’ di cui si riempiono la bocca (e le tasche) i consulenti tecnologici non potrà mai essere nulla di buono se non sarà accompagnata dalla consapevolezza sociale degli algoritmi e dei dati, cioè senza uno stare al mondo che loro hanno poi battezzato “Nuovo abitare”.  Cosa sia questa consapevolezza, e come si costruisca, è un bel tema, ma condivido l’intuizione che abbia anche a che fare con l’arte.

Quando Oriana, dopo che Sal ci aveva lasciati, mi chiese di prendere in mano il progetto di “Memoria Manifesta”, pensai che, per un amaro paradosso, lui ed io (ormai divenuto “libero battitore”) avremmo finalmente fatto qualcosa insieme. Io però non sono un hacker situazionista (si vede ad occhio nudo), vengo da esperienze molto diverse, dunque il patto con Oriana fu che il lavoro di Sal sarebbe continuato nello spirito, ma con la materia tecnica che io e il mio team siamo in grado di plasmare.

Prendere centinaia di migliaia di articoli pubblicati in quaranta anni di storia e farne la memoria condivisa di una comunità di migliaia persone è certamente una bella sfida. Quando ho iniziato a vedere il codice di Sal mi sono accorto, con emozione, che tante delle cose che avevamo vagheggiato erano in effetti lì dentro.

Il “grafo di conoscenza”, cioè una struttura che connette in modo trasparente le entità e i concetti contenuti nei testi, si vedeva nello schema della base di dati e nelle “query” con cui poteva essere interrogata. C’era però ancora da fare quel passo di cui parlavamo talvolta nei peggiori bar di Torpignattara: integrare questo “grafo” nel sistema dei “dati aperti e connessi” (Linked Open Data): la grande opera collettiva di rappresentazione di fatti, persone, luoghi e tante altre cose che cresce giorno per giorno alimentata, senza scopi di lucro, dalle più diverse e sparse comunità che si affacciano nel web.

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Gli articoli del manifesto sono fatti (ovviamente) di linguaggio, ma sviluppano un loro idioletto, a partire dai memorabili titoli e dai non meno creativi sottotitoli. Sul modo di leggere questi testi, abbiamo deciso di seguire una strada nuova. Da quando Sal aveva dovuto interrompere il suo lavoro al momento in cui lo avevamo ripreso, le tecnologie del linguaggio erano cambiate in modo “drammatico” (per dirla con un anglicismo a doppio taglio).

Non volevamo rinunciare a quello che di buono la ricerca aveva prodotto negli ultimi tempi: non le gigantesche e un po’ allucinate macchine parlanti dei grandi monopolisti statunitensi che ingombrano le nostre cronache recenti, ma quell’arcipelago di software, dataset, modelli linguistici aperti, costruiti da centri di ricerca pubblici e privati (inclusi quelli di alcune “big tech”) che sono disponibili per chi voglia sviluppare le proprie idee senza ridurle al semplice ma costrittivo utilizzo dei servizi “chiavi in mano”. Di questo arcipelago si parla poco, ma è proprio lì che si trova la via di fuga dai pericoli veri o presunti dell’Intelligenza artificiale. Pericoli di cui, con gusto un po’ dadaista (ma in realtà assai calcolato), gli stessi monopolisti ci avvertono.

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La MeMa che sta prendendo forma è immersa nel mondo degli automi che ci inquietano, ma la sua intenzione è quella di testimoniare che esistono modi sicuri e socialmente sani per utilizzare le tecnologie cosiddette “intelligenti”. Io non sono molto a mio agio con la metafora antropomorfica che invece piace tanto a Oriana, ma ecco: se Mema fosse una bambina, sarebbe una che ha scoperto che sotto il letto non c’è alcun mostro, e che il mondo è quello che concretamente ne facciamo.