Quella diserzione che non piace a Putin. Ma che non sembra piacere neanche a YouTube. Quella diserzione che può minare la retorica militarista ma che, a conti fatti, potrebbe intaccare la logica del mercato. Del profitto. E che allora, forse, è più conveniente aiutare a nascondere.

Si parla di Russia, a due anni e mezzo dall’invasione dell’Ucraina. Un paese dove, nonostante tutto, nonostante la feroce repressione governativa, c’è ancora una piccola ma combattiva rete di opposizione alla guerra. Che fra le mille difficoltà deve fare i conti anche con l’impossibilità di comunicare.

Come sanno tutti, le norme russe – già mai molto permissive sulla libertà di parola – hanno subito una drammatica involuzione da quel 24 febbraio del ’22. Col costante intervento censorio del Roskomnadzor – il potentissimo strumento di controllo del Cremlino – e con l’improbabile, e per ora naufragato, progetto di costruire un’”Internet solo russa”, isolata dal resto del mondo.

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Una rete di censura dalla quale sembra essere sfuggita solo YouTube. Per tanti motivi.

Gli analisti spiegano che la piattaforma di proprietà di Google fino ad ora è riuscita a sottrarsi alle richieste e alle minacce governative soprattutto perché può contare su una “platea” di 93 milioni di utenti. Era – ancor prima dell’invasione ed è ancora oggi – la piattaforma utilizzata dalla quasi totalità dei cittadini russi per l’intrattenimento. Limitarla, offuscarla avrebbe probabilmente portato ad una reazione non “governabile”.

Senza considerare, come scrive Philipp Dietrich, in una relazione al ministero degli esteri tedesco, che il controllo costante di quasi cento milioni di utenti si potrebbe realizzare solo con sofisticati strumenti, dei quali oggi i censori russi non dispongono. Si potrebbe realizzare solo con un investimento di risorse che oggi Mosca sembra voler destinare ad altro. Ed è proprio in questo angusto spazio virtuale che provano ad inserirsi le opposizioni a Putin.

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Comunque, anche senza proposte di “blocco” totale, Roskomnadzor, in questi anni, ha provato a farsi sentire. Esattamente come aveva fatto tre anni fa obbligando Apple a rimuovere dal suo store l’app “Smart Voting”, che avrebbe dovuto monitorare le consultazioni elettorali, così l’organismo di censura ha chiesto a Google-YouTube di rimuovere, di oscurare molti filmati dei dissidenti. Di quei dissidenti che in Occidente quasi nessuno conosce, come il canale “Kak teper?” o quelli del sito di contro-informazione “OVD-Info”.

Richieste rifiutate. Rifiuti – va detto – che sono costati cari alla big tech, con multe milionarie affibbiate per violazione delle norme sulla sicurezza.

Tutto questo fino a pochi mesi fa. Quando sul canale YouTube di “Volgograd Watch”– che contava appena 29 mila iscritti – è apparsa una serie di brevi filmati. Qui una voce fuori campo e persone non identificabili spiegavano come sottrarsi alla chiamata alle armi. “Resistere alla mobilitazione”, il titolo della serie.

In pochissimo tempo, l’hanno visto quasi trecentomila persone. Ma l’hanno potuto vedere solo quelle. Poco tempo dopo, i curatori hanno ricevuto una notifica da parte di YouTube: “I video sono bloccati perché violano la legge russa”.

Stessa sorte è toccata ad un altro filmato. Stavolta messo on line sul canale “Shkola Prizyvnika”. Anche in questo caso, il video raccontava come resistere alla leva.

Di più: poche settimane fa, anche il media indipendente OVD-Info – che può contare su tante collaborazioni europee – ha ricevuto un’altra comunicazione. Nella quale YouTube informava che il suo canale video “How Now?” era sotto “osservazione” dopo una richiesta di blocco da parte delle autorità governative. Pure qui, l’”accusa” è quella di fomentare la diserzione. E sarebbe la prima volta che il Roskomnadzor chiede a YouTube il blocco non di un singolo filmato da un intero canale.

Tutte notizie subito denunciate dalle associazioni mondiali per i diritti digitali. E che un primo parziale risultato l’hanno ottenuto: perché i video bannati, quelli dove si spiegava come organizzarsi per sfuggire alla leva, sono tornati on line. Anche se, per vederli, occorrerebbe conoscere l’indirizzo esatto perché i filmati – “stranamente” – non si trovano più nei motori di ricerca.

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Questa è la situazione. Che fa crescere l’allarme.

Un disertore russo in Kazakhstan
Un disertore russo in Kazakhstan, foto Ap

Perché è vero che Google-YouTube ha subìto pesanti ripercussioni dalla decisione di aderire al boicottaggio contro Putin (l’ufficio moscovita del colosso telematico fu perquisito dalla polizia e la sua filiale russa chiusa d’imperio) ma tanti temono che ora il vento sia cambiato. E che ora, per quieto vivere e per non perdere definitivamente quel mercato, la big tech sia più attenta alle pretese del governo.

Per dirne un’altra – forse ancora più rilevante – Google, da quando sono scattate le sanzioni internazionali, non investe più per ammodernare il suo Global Cache destinato agli utenti russi. Si parla di quelle gigantesche aree di memoria digitale – dislocate in tutte le aree del mondo – che consentono di velocizzare le operazioni on line. Ma Google non spende più un dollaro per il server che occorrerebbe alla comunità russa, server che ormai sopravvive nel “degrado” più totale. Col risultato che da Novosibirsk come da Mosca ci si mettono ore a scaricare anche un piccolo file video da YouTube.

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Ce n’è abbastanza insomma perché AccessNow – probabilmente la più autorevole organizzazione mondiale per i diritti digitali – e altri venti gruppi della società civile, comprese alcune sigle russe, abbiano scritto una lettera aperta a Google-YouTube. Per chiedere al colosso di non “diventare uno strumento politico dello Stato russo e sopprimere definitivamente la libertà di parola e l’accesso all’informazione”.

YouTube deve dire di no al Roskomnadzor, alle sue pretese. Sapendo che pagherà un prezzo alto ma sapendo anche che questo dovrebbe essere il suo obbligo morale. Altrimenti – per dirla con Natalia Krapiva, consulente legale di AccessNow – “sarebbe complice”. Complice della censura di chi prova a fermare la guerra.