«Guerra è violenza patriarcale». La lotta femminista in Russia
Intervista Parla l’attivista Vika Privalova. «Finché esisterà il regime di Putin non ci sarà pace»
Intervista Parla l’attivista Vika Privalova. «Finché esisterà il regime di Putin non ci sarà pace»
Quello della Resistenza Femminista contro la Guerra è certamente uno dei gruppi d’opposizione russi più coraggiosi. Non solo per il loro rifiuto netto nei confronti dell’aggressione militare dell’Ucraina, esplicitato fin dal primo giorno dell’invasione sia a parole che attraverso manifestazioni di piazza, ma anche perché è lo stesso femminismo a essere sotto attacco da parte delle élite putiniane. Lo scorso aprile per esempio è stata presentata alla Duma una proposta di legge per riconoscere il femminismo come «ideologia estremista», mentre molte attiviste per i diritti delle donne sono state etichettate come «agente straniero».
Eppure le attività della Resistenza Femminista non si fermano. A fine agosto il gruppo ha anche ottenuto un riconoscimento al Premio della Pace di Aquisgrana (Germania). Abbiamo parlato con una delle attiviste, Vika Privalova, attivista e artista.
Diciotto mesi di guerra. Come proseguono le vostre battaglie?
Al momento il nostro movimento è composto da decine di “cellule” autonome e gruppi attivi in Russia e all’estero. Portiamo avanti azioni contro la guerra in Russia e altrove, distribuiamo un giornale cartaceo autopubblicato, forniamo sostegno psicologico ad altri attivisti, lottiamo per i diritti sul lavoro di cittadini e cittadine che hanno assunto posizioni di contrarietà alla guerra, aiutiamo piccole iniziative di volontariato e prendiamo parte alle indagini sui crimini di guerra commessi dal nostro paese in Ucraina. Come movimento femminista che agisce dal basso riteniamo di estrema importanza mettere in pratica forme di collaborazione che incarnino i principi della nostra visione del futuro: orizzontalità, inclusione e capacità di rendere possibile la partecipazione politica dei più vulnerabili. Perciò nelle nostre attività coinvolgiamo attivisti di popolazioni indigene, membri della comunità Lgbt, soggetti con disabilità, migranti e persone che hanno fatto esperienza di diverse forme di violenza e discriminazione.
Quali rischi correte?
La maggior parte del nostro lavoro si svolge in maniera sotterranea e quasi invisibile al mondo esterno. Ovviamente, in Russia, le nostre attività non ricevono copertura mediatica. Diamo supporto alle vittime della repressione statale, aiutiamo rifugiati e cittadini ucraini che sono stati trasferiti forzatamente dai territori occupati del loro paese alla Russia, organizziamo segretamente lezioni di antifascismo per bambini in opposizione alle lezioni promosse dallo stato che glorificano la guerra – sono solo alcuni esempi. Il Cremlino ci controlla da molto vicino: chi si oppone alle politiche statali subisce arresti, interrogatori, torture, intimidazioni e alcuni vengono uccisi. Pertanto, vari membri del gruppo si sono visti costretti a lasciare il paese.
Cosa significa essere “femminista”, oggi, in Russia?
La guerra è una prosecuzione della violenza patriarcale, una delle sue manifestazioni più estreme. La guerra, inoltre, si nutre del lavoro gratuito delle donne – che si prendono cura dei propri cari, i quali a loro volta possono essere usati, mobilitati con la forza e trasformati in assassini, per poi far ritorno a casa mutilati e dimenticati per sempre. In questo momento le donne russe devono affrontare il pericolo di subire violenza per mano dei soldati che rientrano dal campo di battaglia. Molti uomini sono stati arruolati nelle prigioni, dove magari scontavano pene per brutali assassinii di donne e bambini: alcuni di questi ora girano a piede libero, dopo aver ricevuto perdono e medaglie a ricompensa dei loro crimini. Intanto, in Russia si moltiplicano le proposte per abolire il diritto d’aborto e per spingere le donne a fare più figli. Sono state passate leggi discriminatorie che violano i diritti umani e rendono la vita della comunità Lgbt insostenibile ed estremamente insicura. Si tratta di strategie per intimidire la popolazione e per tentare di controllare il movimento contrario alla guerra. Spesso ripetiamo che «la guerra inizia dentro le mura di casa». La violenza domestica, familiare, contro donne, bambini e anziani – incoraggiata e promossa dallo stato russo – è da tempo fuoriuscita dalle nostre abitazioni e ha oltrepassato i confini statali. Tutti i tipi di violenza sono connessi, e tutti devono finire. Perciò, il femminismo è una parte fondamentale della resistenza alla guerra, è resistenza allo sfruttamento, alla discriminazione e alla violenza.
Come vedete il futuro del vostro paese?
Fin quando esisteranno Putin e il suo regime, non ci sarà pace. Fin quando ci saranno persone e territori sotto occupazione, non ci sarà pace – anche se magari non si sparerà e la guerra non sarà in una fase “calda”. Ma non possiamo chiamare pace una situazione in cui i prigionieri politici rimangono in carcere e gli attivisti contro la guerra che hanno lasciato il paese non possono far ritorno in sicurezza a casa. Vogliamo una pace giusta, che a tanti potrà sembrare utopica: nessuna occupazione, nessuna schiavitù o tortura, nessuno sfruttamento o prigione, nessuna dittatura e silenziamento violento dell’opposizione.
Domenica in Russia si vota. Avete una posizione specifica?
È chiaro che le elezioni saranno illegittime e truccate, ma è importante lasciare alle persone il diritto di voto. Pensiamo dunque che la società civile non dovrebbe perdere questa abitudine.
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