L’impressionante risultato alle primarie in Argentina dall’“anarco-capitalista” Javier Milei ha comportato una forte incertezza sul futuro del panorama politico del paese. Ma anche sullo stato della democrazia nel subcontinente latinoamericano.

Come, lo spiegano una serie di analisti. Ad esempio, la sconnessione tra le società latinoamericane e il sistema democratico si è tradotta in esplosioni di frustrazione sociale quantomeno dall’inizio del secolo: dal que se vayan todos – Argentina 2001, ripreso oggi da Milei – al movimento dei forajidos (Ecuador 2005), passando per la rebelión de los pingüinos (Chile, 2011). Più recentemente, anche la formazione di governi progressisti – Arce in Bolivia, Boric in Cile, Petro in Colombia – è stata propiziata da rivolte popolari, specie di giovani, più che dalla forza dei partiti.

Le democrazie latinoamericane hanno dimostrato di non canalizzare le domande né di trovare la soluzione alle crescenti frustrazioni sociali del subcontinente. Mentre invece hanno sviluppato alternative politiche demagogiche e autoritarie, con modelli lontani, o anche contrari, ai valori della democrazia occidentale, concentrando il potere su leadership carismatiche. I protagonisti di queste concezioni deviate sono sia millennians che provengono dalla sinistra (Nayb Bukele, El Salvador) come leader di destra di maggior età (Bolsonaro, Milei). In positivo, Lula. (Cladio Katz, Carlos Malamud).

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Come conseguenza di questa congiuntura di crisi dei partiti politici, la cittadinanza cerca alternative per le sue richieste prioritarie (gravi problemi economici, corruzione, sicurezza dei cittadini, enorme forbice sociale). Soluzioni anche contrarie al sistema istituzionale, pur dentro lo schema costituzionale, e che propongono un modello autoritario, una sorta di “regime plebiscitario” o di modello iper-presidenzialista, sottraendo margini di azione ai contrappesi istituzionali, alle opposizioni, ai partiti e anche all’opinione pubblica (Alvaro García Linera).

Come dimostrano da anni le inchieste di Latinobarómetro, «l’America latina sta attraversando un periodo di alti livelli di critica alla forma mediante la quale esiste e si svolge la democrazia». Per ampi settori della popolazione non importa la natura democratica dei governi-regimi, quanto i risultati ottenuti o prospettati: Nayib Bukele in Salvador ha un’approvazione attorno al 70%. L’indifferenza al tipo di governo-regime evidenzia come i cittadini latinoamericani si siano in generale allontanati dalla politica, dichiarando che les da lo mismo che i governi siano democratici o meno, purché diano risultati concreti.

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Non è un caso che in molti luoghi dell’America latina la strada abbia sostituito le istituzioni rappresentative come scenario naturale per trasmettere domande lungamente represse e che richiedono migliori servizi pubblici e soluzioni alle profonde diseguaglianze del subcontinente. Il Perù ha avuto sei presidenti dal 2016, ha sofferto un’implosione dell’ordine pubblico dopo il golpe contro il presidente Castillo e la proclamazione di Dina Boluarte che è costata decine di vittime. Secondo Latinobarómetro l’ 88% dei peruviani considera che più della metà dei politici siano corrotti. Dunque non solo i dirigenti politici, ma anche le istituzioni sono poste in questione con molta forza. (Myriam Bregman).

È vero che l’ultradestra occupa spazi lasciati aperti dalle forze progressiste o nazionali e popolari latinoamericane, specie a causa della tendenza a spostarsi al centro (Boric in Cile) e a non incidere sull’enorme forbice sociale. Però la formazione di una destra estrema ha una propria dinamica, interna e globale, ed è il risultato dell’incrocio tra la finanziarizzazione del capitalismo e i nuovi modi di produzione di soggettività liquide e senza storia. Si è prodotto così un corte historico che ha prodotto un nuovo tipo di soggettività neoliberale e autoritaria: da Trump a Abascal, Ayuso, Le Pen, Meloni (in Europa) a Bullrich e Milei in Argentina. Non collegare il “fenomeno” Milei a quanto accade fuori dell’Argentina sarebbe come ritenere che il negazionismo nei confronti del cambio climatico sia un prodotto locale. (Jorge Aleman).

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Di fronte a questa nuova fase politica «il campo popolare ha la necessità, più che mai, di restare unito, con un programma economico e sociale che costruisca un orizzonte chiaro e contundente per le masse popolari. E soprattutto deve essere disposto – come fanno Lula e il Pt in Brasile – a costruire alleanze assai ampie per difendere la pace e i diritti fondamentali del popolo» (Alejandro Grimson). Per il boliviano García Linera, «sintonizzandosi con le preoccupazioni quotidiane della popolazione, con il loro portafoglio, e non con temi ideologici astratti». In sostanza, verso la ricerca di nuove forme di democrazia partecipata capaci di incidere sul potere capitalistico.