I tempi corrono veloci e dunque lo stupore è ammissibile solo fino a un certo punto, ma viene da chiedersi davvero se la Giorgia Meloni che nel febbraio del 2020 interveniva tra gli applausi al National Prayer Breakfast sia la stessa Giorgia Meloni che una settimana fa giurava fedeltà a Joe Biden, «perché in tempi difficili sappiamo chi sono gli amici». Ecco, forse tre anni fa i tempi erano meno difficili di quelli attuali, e di sicuro i conservatori di 140 paesi riuniti a Washington per cantarsela e suonarsela non avevano ancora assistito alla svolta insurrezionalista del padrone di casa Donald Trump. Già perché se gli Usa sono spaccati a metà e i toni del dibattito tra democratici e repubblicani sono assordanti, Meloni sembra non fare grande fatica a saltare quella barricata.

Nel 2020 Meloni appariva convintissima: «Trump può piacere o meno, ma i risultati che ha ottenuto a livello economico sono straordinari e gli porteranno la rielezione», profetizzò la leader di FdI. «Sono un buon insegnamento per noi: perché alla fine la ricetta di Trump è stata lo shock fiscale, investimenti pubblici, taglio delle tasse, soldi sugli investimenti, difesa del prodotto, difesa dell’azienda. Ed è decisamente una ricetta molto simile a quella che Fdi propone in Italia». Tre anni dopo, davanti a Biden: «Il dialogo tra Usa, Italia e Ue può far superare le tensioni produttive a beneficio di tutti. Non c’è motivo per cui non possano aumentare». Le affinità tra Giorgia e Joe però sembrano andare anche oltre: a livello di immagine internazionale, il presidente Usa che invita la figlia della premier italiana a fare un giro della Casa Bianca (poi non avvenuto per motivi di protocollo) è un colpo da mille punti, quasi una benedizione.

Eppure quando nel gennaio del 2021 i trumpiani misero a ferro e fuoco Capitol Hill, Giorgia Meloni si fece notare per aver trovato un modo di assolvere il presidente uscente, cioè l’uomo che non ha mai ammesso la sconfitta elettorale fomentando la folla inferocita per la vittoria di Biden: «Mi auguro che le violenze cessino subito come chiesto dal presidente Trump. In questi momenti serve grande prudenza e serietà». Per dire, all’epoca persino un trumpiano di ferro come Matteo Salvini riuscì ad essere più netto nel suo giudizio: «In democrazia chi vince ha sempre ragione. Io sostenevo le idee dei repubblicani, dei conservatori e di Trump, ma un conto è il voto, un conto è entrare armati in Parlamento, quella è follia».

Del resto, se Salvini poi ha dimenticato in fretta l’attacco di buonsenso social di quella sera di gennaio, Meloni più si è avvicinata al governo e più ha limato i propri spigoli, soprattutto in politica estera. Poi, da quando è a Palazzo Chigi, si è sistemata nella posizione più comoda di tutte, cioè quella storica del governo italiano: a Washington ci sono solo amici, chiunque sia l’inquilino della Casa Bianca. E qualsiasi cosa si sia detto o pensato in precedenza.