«Viva la libertad carajo!» è lo slogan più ripetuto dal leader dell’estrema destra Javier Milei in apertura e in chiusura di tutti i suoi comizi. È stato pubblicato da migliaia di persone che hanno scelto di rendere pubblico nei gruppi whatsapp di famiglia e di amici o sui social il loro sostegno verso il polemico economista «anarco-capitalista», «ultra-liberista» e «anti-casta» che ha sbancato alle primarie di domenica.

UN APPOGGIO tutt’altro che scontato. Nelle ultime settimane, gli stessi mass-media che gli avevano dato ampi spazi in prime time dopo la sua discesa in campo nel 2020, lo avevano sommerso di critiche: per le tariffe esorbitanti che estorceva a chi volesse presentarsi alle elezioni col simbolo del suo partito, o per le sue stravaganze, come i dialoghi che assicurava di aver sostenuto col suo mastino inglese morto.

Votare per Milei, a pochi giorni dalle primarie di domenica, sembrava ormai una scelta irrilevante nel panorama politico argentino, e in molti mantenevano in segreto la loro scelta. Il che ha reso la sua vittoria ancor più eclatante.

Invece di “sgonfiarsi” sotto i colpi degli avversari, La Libertad Avanza, partito con cui Milei dal 2021 siede in parlamento, è cresciuto in modo esponenziale in tutto il paese, affermandosi come prima forza politica in 16 delle 24 provincie argentine. L’ultima determinante spinta è stata probabilmente data dalla successione di omicidi registrati durante gli ultimi giorni nella periferia di Buenos Aires: una bimba di 11 anni assassinata da due ventenni per rubarle il cellulare, un chirurgo freddato sulla porta di casa della madre, un professore in pensione ucciso a pistolettate in casa da un gruppo di giovanissimi in cerca di dollari. Milei ha saputo parlare alla pancia di chi, oltre alla paura, sente delusione e odio verso chi ha governato finora.

LA SUA VITTORIA è dunque da intendere come un rifiuto verso ciò che è stato, più che un sostegno per ciò che l’estrema destra promette di fare. Difficile credere che il 30% degli argentini sia disposto a liberare il mercato di organi o ad abolire la Banca centrale, come ha promesso più volte Milei.

Molto probabile dunque che il panorama elettorale argentino possa cambiare in vista dell’elezione generale del 22 ottobre: il voto di domenica infatti ha definito solo la composizione delle liste, i nomi dei candidati e il numero di partiti che, avendo superato lo sbarramento dell’1,5% delle primarie, potranno presentarsi alle presidenziali e legislative fra settanta giorni.

Un periodo segnato dall’acuirsi dell’instabilità e l’incertezza mette in dubbio l’utilità di questo tipo di elezioni: già nel 2019 la sonora sconfitta di Mauricio Macri alle primarie d’agosto aveva aperto un baratro in cui sono andati persi milioni di dollari di bond argentini nel mondo, divenuti carta straccia in vista del cambio di governo. Che avvenne però solo dopo la conferma dei risultati alle generali di ottobre.

QUEST’ANNO a contendere il primo posto all’estrema destra ci sarà anche la coalizione della destra più tradizionale, Juntos por el Cambio, che ha ottenuto il 28,3% dei voti, guidata dall’ex ministra della sicurezza del governo di Mauricio Macri, e rappresentante dell’ala più conservatrice dell’alleanza, Patricia Bullrich. Il ministro dell’economia, Sergio Massa, sarà invece il candidato del governo di centrosinistra, dopo aver battuto nella primaria di Unión por la Patria al leader dei movimenti sociali di base Juan Grabois ed essersi posizionato terzo col 27,3%.

Il giorno dopo la batosta lo stesso Massa è dovuto correre ai ripari di fronte alla violenta reazione dei mercati: ieri la Banca centrale ha svalutato del 22% il peso rispetto al dollaro e alzato il tasso d’interesse fino al 118%. Ora tocca al ministro-candidato chiedere il voto dei lavoratori a cui, in un colpo solo, ha ulteriormente liquefatto i salari subito dopo le primarie.

INSICUREZZA E INFLAZIONE, giunta ormai al 120% su base annua, sono la molla che spinge il voto a destra. Bullrich e Milei assieme volano vicini al 50% del voto a livello nazionale. Ma è Milei a godere ora di un momento d’oro che cercherà di capitalizzare a discapito della sua rivale. Le sue promesse, un decalogo della alt-right in versione latinoamericana, hanno già accattivato l’entusiasmo dell’elettorato giovane maschile: abolizione del welfare, adozione del dollaro come moneta nazionale, privatizzazione di sanità ed educazione, soppressione dei ministeri della Cultura, Ambiente, Donne e diversità, Lavori Pubblici, Educazione, Lavoro e sicurezza sociale, Trasporti, Salute, Scienze e Tecnologia, Sviluppo sociale, e lotta contro «l’ideologia di genere».

PROMESSE che solleticano la fantasia di milioni di giovani argentini mortificati dall’eterna crisi in cui vivono da quando hanno memoria. Su un gruppo whatsapp dedicato all’attualità di una delle squadre del calcio locale, un giovane tifoso ha scritto: «Pensa quando avremo finalmente il dollaro come moneta: i nostri giocatori non vorranno più andare in Europa e avremo il campionato di calcio più bello del mondo».