Cinque giorni dopo aver giurato da ministro della Salute, Orazio Schillaci ha scelto l’Università romana di Tor Vergata per il suo primo intervento pubblico. Scelta coerente: tra quelle mura il ministro radiologo ha costruito la sua fortuna, da professore associato a rettore dell’ateneo. Era tra amici dunque quando ha preso ufficialmente il suo primo impegno politico. «Giovani e ricerca – ha scandito – sono le due componenti alle quali darò grande attenzione». Era l’ottobre 2022.

A maggio il ministro aveva pubblicato una delle sue ultime fatiche scientifiche senza i galloni ministeriali (non che dopo la chiamata di Meloni abbia smesso di firmare ricerche a ritmo sostenuto). Si tratta proprio di una delle otto ricerche che, come abbiamo scoperto e documentato ieri, utilizza immagini al microscopio elettronico duplicate, riciclate da altri studi o addirittura ritoccate. Nel caso del 2022, due gruppi di cellule tumorali sono stati pubblicati in due diverse colorazioni così da suggerire differenti reazioni a un farmaco. Ma era la stessa immagine.

C’è da sperare che non sia questa la ricerca, dopata, alla quale il ministro vuole dare «grande attenzione». Molto attento certamente non lo è stato quando ha firmato tutti i lavori scientifici che, come ha scoperto il nostro Andrea Capocci, presentano numerose «anomalie».

Leggi l’inchiesta del manifesto —–

La parola, «anomalie», è di Elisabeth Bik, la numero uno tra i cacciatori di frodi scientifiche: quando tanti errori si ripetono è difficile pensare a una casualità, ci ha spiegato, e si deve propendere per la volontà di ingannare chi valuta il lavoro scientifico.

Schillaci, che di queste ricerche «anomale» è stato redattore, revisore, responsabile dei dati e – in quattro casi su otto – «corresponding author», cioè l’autore di riferimento che può parlare a nome del team di ricerca, una volta esploso il caso ha spiegato che lui no, non c’entra. Scaricando la responsabilità su «chi ha fornito quelle immagini». Ma quelle immagini le ha pubblicate, e firmate, anche lui.

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Ieri la storia è stata ripresa un po’ dappertutto e dopo aver dato al manifesto questa (del tutto insufficiente) spiegazione, il ministro è stato costretto ad aggiungere ancora altre parole. Ancora sbagliate: ha detto infatti che le immagini «non sono del mio laboratorio ma di altri colleghi».

Ovviamente non è questo il punto.

Nelle ricerche collaborano scienziati di diverse branche, non solo di diversi laboratori ma anche di diverse università. Però la responsabilità della pubblicazione è comune ed è soprattutto della firma più autorevole. Che in tutti casi era Orazio Schillaci. Del resto si pubblica per questo: per vedersene riconosciuto il merito. Molte carriere accademiche e anche molte riviste di discutibile serietà si basano su questa ansia da pubblicazione.

Troppo facile voltarsi dall’altra parte quando viene fuori l’inganno.

Il tentativo di scaricare su altri la colpa è stato così goffo che alla fine il ministro ha dovuto precisare che i suoi colleghi «non hanno fatto nulla di male» (che sia stata dunque tutta opera dell’intelligenza artificiale?). Una precisazione che in ogni caso non fa onore a chi ha promesso, al suo esordio, di voler «fare attenzione ai giovani». I giovani ricercatori sono le vittime del circuito baronale, quello per il quale il loro lavoro finisce a maggior gloria delle carriere di altri.

Dunque Schillaci stia sereno, non perda tempo nella caccia che si è scatenata al ministero a una qualche manina dietro il nostro che è solo giornalismo (peraltro abbiamo raccontato per filo e per segno come abbiamo fatto a scoprirlo).

Pensi invece, adesso che dovrebbe avere la testa per altre cose e non per continuare a produrre articoli scientifici, a come interrompere questo circuito bulimico delle vere e false riviste e delle ricerche in subappalto.

Quanto alle dimissioni è una questione di stile e di coscienza (o incoscienza). Nel resto del mondo sarebbero, e sono state, automatiche anche in casi assai meno gravi. Ma questo è il governo del Merito e non ci aspettiamo granché.