Read the English version of this interview

La biologa olandese Elizabeth Bik è la maggiore esperta al mondo nella lotta alle frodi scientifiche. Ha identificato oltre quattromila studi scientifici con evidenti anomalie.

È lei che ha documentato le numerosissime irregolarità nelle ricerche svolte da Didier Raoult, uno dei biologi più affermati di Francia tra i principali sostenitori dell’efficacia dell’idrossiclorochina contro il Covid-19. Dopo gli insulti e le denunce dello scienziato nei suoi confronti, Bik ha ricevuto il sostegno di migliaia di scienziati di tutto il mondo che hanno firmato diversi appelli a sua difesa.

È stata Bik a documentare molte delle immagini duplicate che hanno portato alle clamorose dimissioni il neuroscienziato e rettore della Stanford University Mark Tessier-Lavigne, fino a quel momento uno dei ricercatori più stimati al mondo.

Nel 2021 le è stato attribuito il prestigioso premio internazionale «John Maddox» per il suo «eccezionale contributo alla scoperta delle numerose violazioni dell’etica della ricerca nelle pubblicazioni scientifiche». Il manifesto ha chiesto a lei un parere sulle anomalie rinvenute nei lavori del ministro della salute Orazio Schillaci.

La redazione consiglia:
Immagini truccate e ricerche riciclate. A firmarle è Schillaci

Professoressa Bik, le immagini duplicate che compaiono nei lavori scientifici firmati da Schillaci possono rappresentare errori non intenzionali?

Presa singolarmente, ciascuna di queste immagini duplicate potrebbe rappresentare un errore involontario. Ma tali errori si presentano in diversi articoli scientifici di questo gruppo di ricerca e questo potrebbe indicare una certa tendenza all’approssimazione.

In più, le figure duplicate in cui la stessa immagine viene mostrata con diversi livelli di ingrandimento (ma con la stessa scala) fanno propendere per un tentativo di indurre in errore il lettore, a differenza di quelle mostrate con lo stesso ingrandimento.

Più in generale, si suppone che gli scienziati tengano accuratamente traccia dei loro esperimenti. Perciò, se emerge che diversi articoli hanno tutti lo stesso tipo di errore, è naturale chiedersi se siano stati annotati con la dovuta attenzione.

Inoltre, questo potrebbe indicare che non si sia tenuta traccia anche di altri dati, come quelli riportati nelle tabelle o nei grafici. Gli errori nelle fotografie lasciano tracce visibili, che oggi siamo in grado di individuare. Ma se la sciatteria riguarda altri tipi di dati, è più difficile scoprirlo con la sola lettura degli studi.

Vede analogie con il caso del rettore di Stanford Mark Tessier-Lavigne, che ha dovuto dimettersi per aver firmato articoli che presentano immagini duplicate?

Sì. In entrambi i casi l’autore più esperto aveva contemporaneamente due incarichi molti diversi. Nel caso di Tessier-Lavigne, era allo stesso tempo un alto dirigente della Genentech (vicepresidente esecutivo per la ricerca e direttore scientifico) e il capo del laboratorio.

Orazio Schillaci, invece, all’epoca dei fatti contestati era sia rettore dell’Università che direttore del laboratorio. Come ha scritto Holden Thorp, il direttore della rivista Science, guidare un laboratorio è un lavoro a tempo pieno ed è quasi impossibile svolgerlo insieme a un altro incarico così esigente.

Quando una ricerca firmata da più autori presenta possibili errori o frodi, chi ne è responsabile?

Non è una domanda facile a cui rispondere. In linea di massima, tutti i co-autori si assumono la responsabilità della qualità e dell’autenticità dei dati. Ma il «corresponding author» ne è il primo responsabile. In diversi articoli in questione, il «corresponding author» è Schillaci.

Ovviamente, si può pensare che le anomalie nascano dalla trascuratezza di un singolo ricercatore e puntare il dito contro il primo autore, che di solito è il ricercatore più giovane che svolge la maggior parte del lavoro di laboratorio. Ma spesso si tratta di un dottorando o di un post-dottorando (i livelli iniziali della carriera di un ricercatore, ndr). E si suppone che il loro responsabile o professore di riferimento si occupi di istruire, supervisionare e gestire il loro lavoro.

Perciò, il responsabile ultimo per il loro lavoro è a mio avviso il ricercatore più alto in carica o il «corresponding author». Sfortunatamente, spesso costui tenta di scaricare le colpe su un ricercatore più giovane, invece di assumersi la propria responsabilità come sarebbe giusto.

Secondo la sua esperienza, quali fattori sono alla base dei casi più comuni di frode?

Spesso questi casi nascono dal desiderio degli scienziati di pubblicare più studi possibile, poiché la maggior parte degli avanzamenti di carriera di un ricercatore dipende dal numero di articoli pubblicati, dall’«impact factor» (un indice che misura il prestigio di una rivista scientifica, ndr) della rivista e dalla frequenza con cui gli articoli vengono citati. È molto più facile pubblicare risultati belli e positivi piuttosto che dati inconcludenti o negativi, perciò è chiaro che imbrogliare possa essere vantaggioso.

In secondo luogo, nei laboratori gestiti da professori molto esigenti o addirittura prepotenti gli studenti, i laureati e i post-doc potrebbero avere la tendenza a compiacere il professore e a fornirgli i risultati che desidera.

In terzo luogo, nei laboratori gestiti da professori per lo più assenti, come nel caso di Mark Tessier-Lavigne o Orazio Schillaci, potrebbe esserci poca sorveglianza. Se si combinano i tre fattori, è molto probabile che si verifichino casi di cattiva condotta.

Schillaci è un ricercatore che ha più di 400 pubblicazioni al suo attivo. Ci sono precedenti di questo tipo?

Questo caso potrebbe presentare alcune somiglianze con quello di Didier Raoult, che dirigeva l’ospedale universitario per le malattie infettive di Marsiglia (accusato di aver manipolato numerose ricerche e di aver spesso violato le norme bioetiche, ndr) e che probabilmente ha messo il suo nome su quasi tutte le pubblicazioni del proprio istituto.

La direzione di un’istituzione di per sé non è sufficiente a giustificare la firma di uno studio. Ma con questo metodo il professor Raoult ha accumulato un impressionante – ma assai poco credibile – curriculum di oltre tremila pubblicazioni scientifiche a sua firma.