Politica

Sanità, Mattarella: «I divari territoriali vanno eliminati»

Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione della cerimonia di celebrazione de "I Giorni della Ricerca" a Roma foto AnsaQuirinale, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella – Ansa

Quirinale Il monito del presidente della Repubblica. Settore in rivolta, il ministro Schillaci replica ironico: «Hanno avuto l’aumento del 6%, non ho mai visto medici indigenti»

Pubblicato 16 giorni faEdizione del 29 ottobre 2024

Anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella chiede più attenzione per la sanità pubblica. Come richiede il ruolo, il capo dello Stato si tiene alla larga dallo scontro sulla manovra tra governo e sanitari che culminerà con la giornata di sciopero del 20 novembre. Ma sa che il Servizio sanitario nazionale è il tessuto connettivo della Repubblica e ne difende il carattere universale. Ieri lo ha fatto al Quirinale durante la cerimonia di lancio dei «Giorni della ricerca», iniziativa promossa dall’Associazione italiana per la Ricerca sul cancro. «Per consentire che l’efficacia dei risultati della ricerca non incontri ostacoli è necessario rimuovere e superare condizioni di divario territoriale» ha detto il presidente. «È nostra responsabilità far sì che questi divari non si propongano nella lotta ai tumori. L’universalità delle cure e la parità dei diritti sono principi irrinunciabili della Repubblica, come ci prescrive la Costituzione».

In platea, il ministro della salute Orazio Schillaci ha ascoltato attento, forse pensando alle otto regioni italiane su venti che oggi non garantiscono i Livelli essenziali di assistenza. Ai sanitari in rivolta Schillaci aveva già risposto venerdì ricordando «l’aumento in busta paga del 6%» e ironizzando: «Non ho mai visto medici indigenti». Parole che fanno infuriare contro il ministro l’ennesima sigla sindacale, l’Aupi, che associa gli psicologi pubblici e privati. Il segretario nazionale Ivan Iacob ha risposto con una lettera aperta a Schillaci: «Umiliare questa categoria sostenendo che i medici non si trovano in difficoltà economiche non sembra una strategia utile a motivare chi già ogni giorno fa sacrifici per il sistema sanitario nazionale – ha scritto -. Sarebbe bastato un messaggio più semplice: “Non ci sono risorse, stiamo facendo il possibile”».

Il 20 saranno in piazza anche loro. Tocca al presidente della commissione Affari Sociali Francesco Zaffini (Fdi) riallacciare il dialogo coi medici scontenti per gli aumenti: «Se i soldi in più per loro messi nella legge di Bilancio li reputano ‘offensivi’ (secondo me non è così) e preferiscono la defiscalizzazione dell’indennità con una flat tax al 15%, ragioniamoci». Pierino Di Silverio, segretario dell’Anaao che per prima ha indetto lo sciopero, non è ostile: «Siamo disposti a sederci a un tavolo con il governo». Ma l’appuntamento del 20 rimane fissato.

Come se avesse letto in anticipo il discorso di Mattarella, pure il presidente dem della Campania Vincenzo De Luca ieri ha sottolineato il tema delle disuguaglianze territoriali, ricordando che il riparto del fondo sanitario nazionale fondato sulla popolazione pesata per età penalizza da sempre la Campania, regione più giovane d’Italia: «Il Paese è spaccato» è la sentenza. Il pezzo di Italia da cui parla De Luca non è evidentemente lo stesso su cui galleggia il collega veneto e leghista Luca Zaia, che intervistato dalla Stampa ieri ha elogiato autonomia differenziata e manovra. Della prima, ha detto che «sarà un nuovo rinascimento», infelice espressione già spesa da Matteo Renzi per l’Arabia dell’amico Bin Salman.

Sulla legge di bilancio Zaia ha difeso l’operato del governo: «Le opposizioni dicono il contrario ma è indiscutibile che sulla sanità ha messo più risorse». A dire il contrario, per la verità, non sono solo le opposizioni ma anche agenzie indipendenti come l’Osservatorio sui conti pubblici italiani dell’Università Cattolica: «A prezzi del 2000 – scrive l’Osservatorio – il finanziamento del Servizio sanitario nazionale per il 2024 si collocherebbe a un livello più basso, anche se di poco, di quello del 2010 (83 contro 85 miliardi) e di poco inferiore a quello del 2019 (di 300 milioni)». L’aumento nominale, dunque, è illusorio: in termini reali con il governo Meloni la sanità è tornata ai livelli pre-Covid.

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