La Commissione sanità della Regione Lazio ha ufficializzato la nomina di Francesco Vaia a direttore generale dell’Istituto Nazionale per le Malattie Infettive “Lazzaro Spallanzani” di Roma, dopo la designazione da parte dell’assessore alla salute Alessio D’Amato.

La sua candidatura era quella più scontata, anche perché Vaia era già direttore generale facente funzioni dal febbraio del 2021, quando la precedente dg Marta Branca era stata trasferita in un’altra azienda sanitaria. Ma era anche quella più discussa: con Vaia direttore sanitario e poi generale, il prestigioso istituto di cura e ricerca si è trasformato in un centro di potere politico a livello locale e anche internazionale (fino a collaborare con Mosca sul vaccino Sputnik). Spingendo molti medici e ricercatori a lasciare lo Spallanzani.

La designazione ha avuto il voto favorevole di 14 membri della commissione su 15. L’unico voto contrario è arrivato dal consigliere No Vax Davide Barillari. Ma tutto l’iter non è stato cristallino.

L’incarico di “facente funzioni” mantenuto da Vaia per oltre un anno è infatti un’anomalia. Una volta trasferita la dg precedente, la procedura prevede la nomina di un commissario che gestisca il passaggio dei poteri a una nuova direzione. Se si fosse seguita la prassi, il 67enne Vaia non sarebbe potuto diventare dg avendo superato l’età massima prevista per ricoprire l’incarico.

Evitare il commissariamento e allungare i tempi ha permesso a una «manina» di inserire – a dicembre, in una legge sulla capienza degli stadi – un emendamento che ha alzato l’età massima a 68 anni, con i voti della destra, di Italia Viva e anche del sottosegretario Pierpaolo Sileri. L’emendamento legava la nuova soglia allo stato di emergenza pandemica e ha obbligato D’Amato a effettuare la nomina di Vaia prima del 31 marzo. Come puntualmente avvenuto.

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La decisione non stupisce. In passato, l’assessore aveva scritto parole durissime contro Vaia, coinvolto in inchieste per corruzione e associazione a delinquere nella gestione delle Asl in Campania e nel Lazio. In un libro sullo scandalo Lady Asl pubblicato nel 2008 lo aveva definito una «cariatide della sanità pubblica» rimasta «all’ombra di potenti lobby». Con un inspiegabile dietrofront, nella gestione della pandemia D’Amato ha formato con Vaia un sodalizio fortissimo da cui sono scaturite molte scelte importanti.

Quella più controversa è stata certamente la collaborazione con l’istituto Gamaleya di Mosca per lo sviluppo del vaccino russo. D’Amato aveva proposto di produrlo nel Lazio e lo Spallanzani si è messo a disposizione per certificarne l’efficacia, con studi ritenuti molto discutibili da parte della comunità scientifica.

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Le denunce del biologo e specialista di frodi scientifiche Enrico Bucci sulla scarsa trasparenza dei dati relativi al vaccino Sputnik hanno ricevuto conferme e sostegno da molti ricercatori italiani (tra cui l’immunologa Antonella Viola) e internazionali.

La collaborazione con Mosca, trapela da fonti del ministero degli Esteri, non era mai stata concordata con la Farnesina. Con l’invasione russa in Ucraina, è diventata imbarazzante anche dal punto di vista diplomatico costringendo lo Spallanzani a chiuderla frettolosamente. Non prima di aver «dimostrato» che il vaccino russo sarebbe migliore di quello Pfizer contro la variante Omicron, ma senza aver mai pubblicato i dati sugli effetti della campagna di vaccinazione con Sputnik a San Marino. Nel dubbio, la repubblica sul monte Titano per il booster è passata a Pfizer.

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Anche la collaborazione con Reithera per lo sviluppo di un vaccino italiano su cui aveva investito il governo è stata avvolta dalla nebbia. Lo Spallanzani era l’istituto capofila dei 35 centri che dovevano verificarne l’efficacia iniziando a reclutare volontari già nel marzo 2021.

Ma allo Spallanzani la sperimentazione non partì mai. Senza alcuna spiegazione da parte dell’Istituto e con grande delusione da parte dei suoi ricercatori, esclusi da un progetto di ricerca di grande rilevanza. Due mesi dopo l’«auto-sabotaggio», dalla Corte dei Conti arrivò lo stop definitivo all’investimento pubblico su Reithera.

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Proprio i dissidi con Vaia hanno convinto molti ricercatori importanti – quelli a cui si deve l’eccellenza dello Spallanzani – ad andarsene.

Si è trasferito al ministero l’ex-direttore scientifico Giuseppe Ippolito. Via anche la direttrice della microbiologia Maria Capobianchi e la sua vice Concetta Castilletti, che sequenziarono per prime in Europa il coronavirus. Partiti anche il capo-dipartimento clinico Nicola Petrosillo, il direttore della microbiologia Antonino Di Caro, la microscopista Roberta Nardacci, il direttore amministrativo Roberto Noto e pure la direttrice degli infermieri Alessia De Angelis, che allo Spallanzani ha effettuato la prima vaccinazione anti-Covid in Italia.

Dopo la conferma di Vaia, ricostruire la credibilità del principale istituto di ricerca italiano sulle malattie infettive non sarà facile.