I vaccini servono a molti scopi. Per la maggior parte di noi, sono stati uno strumento di prevenzione sanitaria. Ma per I padroni del vaccino, titolo del libro scritto dal giornalista Manuele Bonaccorsi e dal sociologo Claudio Marciano, i vaccini sono serviti anche ad altro: ricavarne profitti, esercitare influenza geopolitica, acquisire prestigio internazionale.

Come mostrano gli autori, e la guerra in Ucraina ci ricorda quotidianamente, il mondo è ben lontano da quello spazio globale liscio raccontato dai cantori della «fine della storia». La mappa di diffusione dei vaccini anti-Covid19 è sovrapponibile a quella delle alleanze internazionali. L’occidente ha affrontato la pandemia con i «suoi» vaccini messi a punto da multinazionali farmaceutiche. In altre aree di influenza, come quella russa e quella cinese con i loro alleati globali, sono stati usati altri preparati prodotti da agenzie statali, come Sputnik V in Russia e Sinopharm in Cina. Nella piccola e isolata Cuba si è dovuto ricorrere a vaccini sviluppati in casa, con un’iniziativa pubblica che molto ha da insegnare agli altri «padroni».

Bonaccorsi e Marciano snocciolano efficacemente come imprese e governi abbiano sfruttato le regole del gioco scientifico fino in fondo – a volte forzandolo – pur di raggiungere il loro scopo. Parlando con i diretti protagonisti, ad esempio, raccontano come Pfizer, BioNTech e Moderna abbiano saputo sfruttare l’aiuto pubblico per realizzare vaccini efficaci in un tempo rapidissimo: un anno, e non i dieci necessari in precedenza. Dietro i vaccini di queste multinazionali si nascondono reti in cui interagiscono ricerca pubblica, politica industriale e finanza. E che finiscono per riempire le casse delle aziende soprattutto grazie ai brevetti, che non sono necessariamente un incentivo alla ricerca come vuole il pensiero economico dominante: «Nel caso del Covid – scrivono gli autori – questo sistema ha determinato, tra il 2020 e il 2021, lo sviluppo di ben 250 candidati vaccino, con un enorme spreco di denaro pubblico in progetti fallimentari».

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Il legame tra scienza e finanza sarebbe un male necessario, se alimentasse una produzione scientifica che risponde alle regole fissate dai ricercatori. La realtà però è diversa: anche una procedura tecnica come stabilire l’efficacia di un vaccino è un campo di battaglia in cui si scontrano interessi economici, politici e non solo scientifici. «L’introduzione di criteri di mercato e competizione tra ricercatori e università ha mutato in profondità le condizioni di verificabilità dei prodotti scientifici» scrivono Bonaccorsi e Marciano. «Ciò che stabiliamo essere “evidenza scientifica”, sulla cui base le istituzioni politiche legittimano le proprie decisioni, è influenzato dalla competizione tra ricercatori (…) La pandemia ha accelerato il bisogno di visibilità sia degli scienziati sia degli editori, e questo ha influito negativamente sul rigore metodologico e sulla quantità di tempo necessaria a valutare un lavoro scientifico».

Laddove il mercato non ha dettato le regole, i vaccini sono serviti a rinsaldare legami e dipendenze tra Stati. E in paesi senza risorse economiche, soprattutto in Africa, i vaccini non sono arrivati affatto. A riequilibrare la distribuzione non basta la beneficienza né il «filantrocapitalismo». Ma la lezione cubana insegna che vaccini sviluppati in poco tempo e accessibili a tutti non sono un’utopia, ma richiedono di riequilibrare il rapporto tra pubblico e privato. «È necessario il pubblico – scrivono gli autori – ma un nuovo pubblico, che si caratterizzi per la trasparenza, per il contrasto alle disuguaglianze e per la finalità sociale dei suoi investimenti».