Nel porto di Vado Ligure sono stati trovati l’altro giorno dalla guardia di finanza 116 chili di cocaina nascosti in sacchi di caffè provenienti dal Nicaragua. Il valore dei 102 pacchetti di droga ammonterebbe a 7 milioni di euro. Il container era stato inizialmente scaricato da un cargo interoceanico nel porto di Genova, per poi essere smistato in quello minore savonese. Gli inquirenti stanno cercando ora di risalire ai destinatari della merce.

Non è la prima volta che container con stupefacenti giunti dal Nicaragua vengono scoperti in Europa. Appena il 10 gennaio scorso la dogana russa aveva sequestrato oltre una tonnellata di cocaina nel porto di San Pietroburgo, confezionata in mille pacchetti (che portavano la sigla BBB e DIOR) per un valore di 120 milioni di euro. Nulla si è saputo dei risultati delle successive indagini; e men che meno ci sono stati commenti da Managua. Cosi come nell’ottobre scorso erano stati intercettati nel porto franco di Malta 40 panetti di cocaina provenienti anch’essi dal paese centroamericano, stavolta celati in un carico di noccioline.

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Ma, per rimanere in Italia, già dieci anni fa il Nucleo Investigativo dei carabinieri di Roma aveva condotto l’indagine Bate che portò a scoprire un giro di coca gestito da una ditta dei Castelli Romani che lavorava pietra imbarcata nel porto di Corinto (sul pacifico nicaraguense) al cui interno era nascosta la polvere bianca in container giunti in vari scali italiani. Gli inquirenti disposero allora una ventina di arresti di implicati pugliesi e calabresi, che a loro volta la collocavano nel mondo dello spaccio.

Secondo il programma tv Esta Semana, diretto da Carlos Fernando Chamorro, ex direttore (durante la rivoluzione) dell’organo del Fronte Sandinista Barricada e oggi costretto all’esilio in Costarica, il transito di stupefacenti in Nicaragua sarebbe gestito direttamente dal clan della famiglia del presidente Daniel Ortega e della sua vice (e consorte) Rosario Murillo. Che sceglierebbe di volta in volta il relativo cartello con cui collaborare.

Del resto il consuocero della coppia presidenziale, Francisco Diaz, è il capo della polizia in Nicaragua, che è poi quella che supervisiona i movimenti del narcotraffico in loco. Non è un caso che negli ultimi anni i suoi agenti abbiano intercettato presunti carichi di droga ogni volta incredibilmente accompagnati da centinaia di migliaia di dollari cash. Cosa mai accaduta nelle rotte della droga nel resto dell’America Latina. A conferma di come non si trattasse altro che di “lavaggio” di denaro indebitamente piovuto nelle mani degli Ortega.

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Del resto a Managua non si muove foglia che la tuttofare Murillo non voglia. Ogni cosa è da lei millimetricamente preordinata. Compresa la relazione con i narco/cartelli, ha assicurato a Esta Semana Javier Melendez, ex direttore dell’Istituto di Studi Strategici e Politica Pubblica, fatto chiudere dal regime dopo la ribellione studentesca soffocata nel sangue nel 2018. Da allora tutta l’opposizione politica, sociale, dei media e persino della chiesa cattolica è stata via via cacciata dal paese o ha dovuto andarsene. Mentre i business del transito della cocaina, delle miniere d’oro, del legname e del passaggio dei migranti verso gli Stati Uniti si è ulteriormente consolidato nelle mani della dinastia orteguista.

È notizia di questi ultimi giorni che l’ex presidente di destra di Panama, Ricardo Martinelli, ha scelto di rifugiarsi proprio nell’ambasciata del Nicaragua nella capitale panamense per scampare a una condanna a dieci anni di carcere per riciclaggio di denaro sporco. Proprio lui che fino a un paio di mesi prima era il candidato favorito alle recenti presidenziali. Gli era subentrato il suo delfino, José Raúl Ulivo, che la prima cosa che ha fatto una volta eletto è stata proprio quella di recarsi all’ambasciata nica per farsi fotografare col proprio mentore Martinelli.