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Così si riaprono le vene dell’Ecuador

Così si riaprono le vene dell’EcuadorEcuador, la protesta contro la miniera La Plata a Palo Quemado – tutte le foto sono di Michele Bertelli

Reportage Alle prese con l’invasione dei narcos e una grave crisi di sicurezza il presidente-imprenditore Noboa cerca soldi e apre allo sviluppo di miniere per 5 miliardi di dollari, tutte "sostenibili". Ma sulla sua strada trova chi non ci crede: gli indigeni. Il caso di Palo Quemado

Pubblicato 7 mesi faEdizione del 4 aprile 2024
Michele BertelliLAS PAMPAS (ECUADOR)

La sirena suona prima delle sette del mattino, richiamando gli abitanti nella piazza principale. Tre camion, di solito utilizzati per il trasporto del bestiame, raccolgono i manifestanti che arrivano alla spicciolata, alcuni con bastoni di legno e scudi. L’obiettivo è raggiungere la vicina comunità di Palo Quemado, dove si sta sviluppando il progetto minerario di La Plata. Ma chi protesta troverà la strada sbarrata, chiusa da una cinquantina di poliziotti in assetto antisommossa.

«La nostra è una terra produttiva e la maggior parte di noi non vuole la miniera, per questo rimarremo tutti i giorni in resistenza», racconta al manifesto Rolando, agricoltore di 33 anni di Las Pampas che chiede di usare uno pseudonimo. Sotto l’occhio destro ha una ferita suturata pochi giorni fa. Dice che la polizia gli ha sparato un candelotto lacrimogeno direttamente in faccia.

DALLO SCORSO LUGLIO, Palo Quemado, una tranquilla comunità di meno di 2000 abitanti nel cantone di Sigchos, è diventata un epicentro di proteste anti-minerarie. E con la rinnovata spinta al settore del governo di Daniel Noboa, le tensioni sembrano destinate ad acuirsi. Noboa ha viaggiato a inizio marzo in Canada per partecipare alla conferenza annuale della Prospectors and Developers Association (Pdac), uno dei più importanti incontri minerari al mondo. «Il settore attrae oltre 4 miliardi di investimenti, per cui io lo considero chiave per la nostra economia, favorisce il paese attraverso la creazione di posti di lavoro, reddito per le comunità, per i governi locali e per lo stato», ha dichiarato Noboa alla platea. Poco dopo, ha firmato sei contratti per lo sviluppo di miniere “sostenibili” per un valore di 4.800 milioni di dollari. La Plata, a Palo Quemado, era fra queste.

Fino a oggi, l’Ecuador ha rilasciato concessioni per 1.300 km quadri, ma solo due miniere – la cinese Mirador e la canadese Fruta del Norte – operano su scala industriale, mentre altri dieci progetti sono in fase di sviluppo in varie regioni.

Dell’importanza del settore è convinto il viceministro per le miniere, Andrés Delgado, che spiega come la transizione verso un’economia globale più verde avrà bisogno di enormi quantitativi di minerali rari. Questo rappresenta una grande opportunità per l’Ecuador. «Abbiamo depositi con enorme potenziale in rame e, sorprendentemente, anche in litio», spiega al manifesto il ministro, che vede le miniere come uno strumento per offrire impieghi formali nelle zone più povere del paese.

LA CONFEDERAZIONE dei Popoli Indigeni dell’Ecuador (Conaie), però, ha accusato le compagnie estrattive di lasciare solo «inquinamento e sottosviluppo» nelle comunità indigene e rurali, e promesso di contrastarne l’operato sia nei territori che nelle aule di giustizia. A partire proprio dal conflitto di Palo Quemado, dove l’impresa canadese Atico Mining prevede di cominciare lo sfruttamento dei depositi di oro, argento, rame e zinco nel 2026.

Gli agricoltori dei territori vicini temono però che le perforazioni pregiudicheranno la disponibilità e la qualità dell’acqua nel sottosuolo, in quella che è un’area rinomata per la produzione di canna da zucchero e allevamento di bestiame. «I nostri campi rimangono verdi tutto l’anno. Qui si produce tutti i giorni», racconta al manifesto Luis Martinez da Las Pampas. «Non vogliamo mettere a rischio la fonte che ci ha dato lavoro per decadi e decadi».

Atico Mining ha assicurato che la sua priorità sarà lo sviluppo sostenibile della comunità e che impiegherà una infrastruttura tecnologica all’avanguardia per minimizzare l’impatto ambientale, fra cui un sistema di filtraggio dei materiali di scarto sterili che permetterà un impiego efficiente dell’acqua. Ma la a Las Pampas non si fidano.

A Palo Quemado gli abitanti invece appaiono divisi. Victor Toce vede con favore l’arrivo della minera perché «la popolazione sta aumentando e non ci sono opportunità di lavoro». Di contro, Rosa Masaparte, che è stata presidente del paese, è convinta che i suoi abitanti abbiano timore di parlare per paura di ripercussioni.

Per poter iniziare le operazioni, il Ministero deve informare i residenti delle possibili ricadute ambientali e raccogliere le loro preoccupazioni. Ma chi si oppone alla miniera accusa di non essere stato preso in considerazione. «Anche a Las Pampas una parte del territorio è in concessione», spiega Martinez, «ma non ci permettono di dire nulla».

Dopo che il governo ha allestito un punto informazione il 19 marzo, la situazione è rapidamente deteriorata, con vari scontri fra i manifestanti e le forze dell’ordine. Martedì 26, la Conaie ha denunciato che un agricoltore è finito in coma dopo essere stato colpito in faccia da un fucile a pallini. Il governo ha negato l’impiego di qualsiasi arma da fuoco. La sera, il comandante Jaime Vela ha dichiarato che 37 fra poliziotti e militari sono stati feriti, a volte con molotov o ordigni esplosivi artigianali. Mentre 72 fra gli abitanti di Las Pampas e Palo Quemado sono accusati di terrorismo, una imputazione inizialmente pensata per contrastare le organizzazioni criminali dopo l’adozione dello stato di emergenza a gennaio. Ma che i difensori per i diritti umani temevano diventasse anche uno strumento per reprimere la dissidenza. Gli animi si sono calmati solo dopo che il governo autonomo del cantone di Sigchos ha presentato un esposto contro la consultazione. Un giudice locale ha sospeso quindi tutto fino a che non esaminerà la questione.

MA QUELLA DI PALO QUEMADO rischia di essere solo la miccia che farà incendiare la polveriera. Secondo uno studio del progetto MapBiomas, ad esempio, circa la metà delle concessioni nell’Amazzonia ecuadoriana si trovano in territorio indigeno. In merito, le parole del presidente della Conaie Leonidas Iza sono state chiare: «Ci dichiariamo in assemblee territoriali permanenti, e saremo pronti a rispondere alla chiamata di una sollevazione nazionale».

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