Non abbiamo tempo per divertirci, per goderci questa fase della nostra vita; purtroppo dobbiamo preoccuparci del nostro futuro e anche di quello degli altri» mi diceva Leonela Moncayo, attivista ambientale di appena tredici anni, lo scorso 26 febbraio. Pochi minuti dopo la nostra intervista telefonica, un ordigno artigianale è esploso davanti casa sua: Amnesty International ha segnalato l’episodio come un’intimidazione nei confronti di Leonela a causa del suo attivismo.

LEONELA È NATA E CRESCIUTA nel cuore dell’Amazzonia ecuadoriana, a Lago Agrio. È una zona ricca di giacimenti di petrolio, sfruttati dal 1967: prima dal colosso statunitense Texaco e, oggi, dalla compagnia statale PetroEcuador. A Lago Agrio, come nel resto dell’Amazzonia ecuadoriana, i processi di estrazione hanno provocato altissimi livelli di inquinamento a danno della popolazione locale. Una parte di questo inquinamento è dovuto ai mecheros, strutture che bruciano il gas in eccesso della produzione petrolifera: al momento, nella regione dell’Amazzonia ecuadoriana ci sono centinaia di mecheros che bruciano giorno e notte. Oltre a emettere metano, un gas serra che contribuisce al cambiamento climatico, la pratica di bruciare il gas in eccesso della produzione petrolifera (in inglese conosciuta come gas flaring) comporta l’emissione di componenti nocivi per la salute. Alcuni studi hanno evidenziato come nelle comunità che vivono nelle aree di produzione petrolifera, l’incidenza di tumori maligni sia molto maggiore rispetto alle comunità che vivono in altre zone dell’Amazzonia ecuadoriana.

«HO CONVISSUTO CON UN MECHERO davanti a casa mia da quando sono nata» racconta Leonela, «ci sono mecheros dappertutto, vicino alle scuole, in prossimità dei centri abitati, nei campi». Fin da piccola, Leonela ha accompagnato il padre, l’attivista Donald Moncayo, nei cosiddetti toxic tours, visite guidate nelle aree della foresta Amazzonica contaminate dal petrolio: in questi tour, così come nella sua comunità, Leonela ha visto gli effetti devastanti dell’estrazione. «Ho conosciuto molte persone che sono morte di cancro e che soffrono di malattie rare, non solo adulti ma anche molti bambini».

LEONELA LOTTA PER L’ELIMINAZIONE dei mecheros dalla sua prima infanzia. Nel febbraio 2020, Leonela e altre otto bambine dell’Amazzonia, che al tempo avevano tra i 7 e i 15 anni, hanno presentato un’istanza costituzionale contro lo Stato ecuadoriano denunciando l’inquinamento causato dai mecheros. Nonostante la causa fosse stata inizialmente respinta, le nueve niñas hanno presentato ricorso e, nel 2021, hanno ottenuto una storica vittoria in appello. La sentenza definitiva ha stabilito che lo Stato ecuadoriano ha violato il diritto a «vivere in un ambiente sano ed ecologicamente equilibrato» e il diritto alla salute, non solo delle bambine ma dell’intera popolazione amazzonica.

LA SENTENZA HA INOLTRE DECRETATO l’eliminazione progressiva dei mecheros, in particolare di quelli situati vicino ai centri abitati entro un periodo di 18 mesi e di tutti gli altri entro il 2030. «Quando è arrivata la sentenza eravamo molto contenti, per noi è stata una vittoria» racconta Leonela: tuttavia, il suo entusiasmo iniziale si è trasformato in delusione davanti alla mancata attuazione della sentenza. Il 29 marzo 2023, allo scadere dei 18 mesi previsti dalla sentenza, la compagnia petrolifera statale PetroEcuador e il Ministero dell’Energia affermarono di aver eliminato 77 mecheros e di averne spenti 35. Tuttavia, gli attivisti di Udapt (Unione delle persone colpite da Texaco), l’organizzazione che rappresenta legalmente le nueve niñas, affermano che 49 di questi 77 mecheros erano già inattivi al momento della sentenza e che in molti altri casi l’intervento di PetroEcuador è consistito solamente nello spostamento del flusso di gas verso altri mecheros vicini, lasciando quindi invariata la quantità di gas bruciato e di sostanze emesse.

SECONDO UDAPT IL NUMERO DI MECHEROS in questi anni sarebbe addirittura aumentato, passando da 447 al momento della sentenza a 486. «Dov’è il rispetto della sentenza?» si chiede Leonela. L’entità dell’impegno del governo nell’eliminare i mecheros appare dubbia e poco quantificabile, anche alla luce del più recente intervento in parlamento della Ministra dell’Energia Andrea Arrobo del 21 Febbraio 2024.

DURANTE UNA SESSIONE della Commissione per la Biodiversità che aveva l’obiettivo di verificare il rispetto della sentenza del 2021, alla presenza di Leonela e altre tre delle nueve niñas, Arrobo ha rivendicato l’eliminazione definitiva di solamente due mecheros, affermando però che questa sarebbe la prova dell’impegno del governo nel rispettare la sentenza. «Per noi è stata una presa in giro» dice Leonela in riferimento alla sessione parlamentare, «i mecheros sono i nostri vicini di casa, e la Ministra è venuta a spiegarci che cosa è un mechero, come se non lo sapessimo, e ha detto che la sentenza è stata rispettata solo perché due mecheros sono stati eliminati: ma per favore, è una bugia». Durante l’udienza, la ministra Arrobo ha anche insinuato che le nueve niñas siano manipolate. «Siamo sempre state accusate di essere manipolate perché siamo minorenni, ma anche questa è una bugia» dice Leonela, «sappiamo cosa significa convivere con questa situazione: molte di noi hanno familiari malati di cancro, che sono addirittura morti di cancro». Ma nelle parole di Leonela non c’è rassegnazione: «Non ci stancheremo mai di dire al governo ecuadoriano che vogliamo che rispetti i nostri diritti: stiamo lottando per il nostro futuro».

IN SEGUITO ALL’UDIENZA, MOLTI ecuadoriani si sono schierati dalla parte delle nueve niñas: lo scorso 12 marzo, un centinaio di persone hanno manifestato a Quito, davanti alla Corte Costituzionale, per chiedere il rispetto della sentenza che ordina l’eliminazione dei mecheros. In un’intervista rilasciata il 14 marzo, la parlamentare dell’opposizione Sofía Sánchez Urgilés ha chiesto che il governo rispetti la sentenza, insistendo sul fatto che l’eliminazione di due mecheros non possa essere considerata il compimento della sentenza. Una presa di posizione audace in un Paese la cui economia è trainata dal settore petrolifero (nel 2022, il petrolio ha rappresentato circa il 10% del prodotto interno lordo dell’Ecuador).

MA L’ATTIVISMO DI LEONELA e delle altre bambine continua a venire ostacolato: durante il viaggio per raggiungere Quito in occasione della manifestazione del 12 marzo, i bus su cui viaggiavano cinque delle nueve niñas sono stati trattenuti dalla polizia, mettendo a rischio la partecipazione delle bambine alla manifestazione. «Non stiamo facendo nulla di male», diceva Leonela, «l’unica cosa che facciamo è pretendere una vita sana senza contaminazioni e che i nostri diritti siano rispettati».