C’era una volta l’Europa del Green deal, quella che si proclamava avanguardia mondiale, attenta alla transizione ecologica come unica possibilità di abbassare le emissioni climalteranti e preservare la biodiversità. Il resto è cronaca di questi ultimi mesi: il cambiamento di posizione dei popolari del Ppe, partito di cui fa parte la presidente della Commissione Ursula von der Leyen, a partire dal freno allo stop sui motori elettrici già nel 2023, poi il voltafaccia sulla legge-architrave del Green deal europeo, quella sulla conservazione e il ripristino degli ecosistemi danneggiati (Nature Restoration Law), disegnata dalla stessa Von der Leyen. Fino alle proteste degli agricoltori, che strappano esenzioni alle stringenti regole ambientali messe in campo dall’Ue. E ottengono modifiche alla Politica agricola comune (Pac), in corso di revisione a seguito di pandemia e guerra in Ucraina.

Il suggello a quello che molti definiscono una controriforma della Pac è arrivato mercoledì. Nella seconda sessione giornaliera di voto, l’emiciclo di Strasburgo ha approvato a larga maggioranza (425 a favore, 130 contrari e 33 astensioni) le nuove regole che prevedono l’alleggerimento degli oneri amministrativi per gli agricoltori Ue. Vengono così ratificati una serie di provvedimenti, come l’eliminazione della messa a riposo di una piccola quota di terreni o l’esenzione per le aziende agricole sotto i 10 ettari (che sono il 65% del totale) da controlli di condizionalità e da sanzioni.

La linea è quella messa a punto in fretta e furia da Commissione e governi Ue in sede di Consiglio dopo le sonore proteste dei trattori, arrivati all’assedio delle sedi istituzionali di Bruxelles. «Un primo passo importante per il settore», esulta il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida, che sottolinea il successo della linea Meloni. «Il piano esenta quasi 17 milioni di ettari di terreni agricoli da qualsiasi controllo di carattere ambientale», ribatte Greenpeace Italia. «Affossare le ultime misure di protezione ambientale rimaste non salverà gli agricoltori e renderà tutti più vulnerabili agli eventi climatici estremi che distruggono i raccolti».

Nell’ultima sessione plenaria della legislatura europea 2019-2024 chiusa ieri a Strasburgo con una maratona di 89 voti legislativi in soli tre giorni, gli eurodeputati hanno anche dato l’ok ad altri provvedimenti chiave dal punto di vista della tutela ambientale. E spesso il risultato non è stato quello sperato da chi ha a cuore il futuro del pianeta. Una direttiva importante come quella sulla qualità dell’aria è stata approvata con pesanti deroghe chieste e ottenute, tra gli altri, anche dai governatori delle regioni padane. Sull’ok finale al regolamento imballaggi – a cui il governo Meloni ha fatto la guerra fino alla fine – pesano le deroghe sul riuso ottenute da Roma per conto delle lobby del settore «food and beverage». L’esito è complesso da decifrare, ma in ogni caso lontano dalle ambizioni ecologiste della proposta originaria.

Fra troppi compromessi al ribasso e molte ombre, si segnala anche qualche luce. Sempre questa settimana ha ottenuto via libera la legge sull’etica delle multinazionali (o direttiva sulla due diligence industriale), fortemente avversata dai poteri confindustriali europei. Approvata anche la prima normativa Ue sui lavoratori delle piattaforme (la cosiddetta direttiva Rider), non meno contrastata dai giganti della gig economy come Uber o Bolt. Ne è stata relatrice la dem Elisabetta Gualmini e promotore Nicholas Schmit, commissario Ue al Lavoro e candidato leader per i Socialisti alle prossime europee. Ma questa sessione di voti a fine legislatura dimostra che gli interessi dell’Ue sono cambiati e che la tutela dell’ambiente ha ceduto il passo a un’altra priorità: quella della difesa. Basterebbe menzionare il via libera definitivo dell’Eurocamera al regolamento Ten-T, che prevede la necessità di ammodernare le vie di trasporto continentali «per il trasferimento senza soluzione di continuità di truppe e attrezzature».

Per la cronaca: la Legge sul ripristino della natura è rimasta a lungo  e infine approvata a febbraio con un’esigua maggioranza. Altrimenti se ne riparlava nella prossima legislatura. Che inizia con un promettente semestre a presidenza di turno ungherese.