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Porti turistici, altro cemento sulle coste e fondali a rischio

Porti turistici, altro cemento sulle coste e fondali a rischio – Getty images

Ambiente Gli approdi sono aumentati di 13 mila unità dal 2010 a oggi. Italia seconda solo alla Francia in Europa per posti barca, il record in Liguria, Sardegna e Toscana

Pubblicato 2 mesi faEdizione del 28 agosto 2024

L’Italia è il secondo paese europeo per numero di posti barca, oltre 166 mila distribuiti in 537 porti turistici. Davanti a noi c’è solo la Francia, con 252 mila ormeggi in 473 porti. Si tratta di strutture diverse dagli scali commerciali pubblici per il carico e scarico delle merci: i porti turistici sono approdi privati per chi possiede un’imbarcazione a vela o a motore per le proprie vacanze, e ha bisogno di strutture per ormeggiare e rifornirsi di carburante e viveri. Per soddisfare questo tipo di domanda, nella nostra penisola sono state costruite centinaia di strutture che hanno nomi all’apparenza pittoreschi, come «marina» o «porticciolo», ma che hanno provocato un enorme impatto ambientale e una significativa privatizzazione e cementificazione lungo le coste. In seguito al naufragio del veliero britannico Bayesian a Palermo, si sono accesi i riflettori su questo tipo di turismo minoritario e benestante, che ha colonizzato molte località marittime.

LA COSTRUZIONE forsennata dei porti turistici in Italia è stata consentita dal decreto Burlando del 1997. La norma, che porta il nome del ministro dei Trasporti e della navigazione del primo governo Prodi, ha semplificato e sveltito l’iter burocratico per ottenere una concessione demaniale marittima a scopo portuale, oltre a permettere di realizzarvi opere non direttamente collegate con la nautica, tra cui gli edifici abitativi e commerciali. Nel giro di pochi anni, nella maggior parte dei 645 comuni costieri italiani sono stati cementificati interi tratti di costa per costruire porti con negozi e appartamenti di lusso annessi. L’apice è avvenuto in Liguria, che secondo il ministero delle Infrastrutture conta oltre 25 mila posti barca, seguita da Sardegna e Toscana con circa 18 mila ciascuna.

SI È TRATTATO di una questione di prestigio e campanilismo tra comuni costieri, che hanno deciso di sottrarre ampi tratti di litorale alla collettività al fine di attirare i pochi proprietari di imbarcazione, diventati gli unici a poter godere di determinati tratti di costa. Oltre a ciò, gli armatori in vacanza ormeggiano a pochi metri dalle spiagge più belle e remote. Chi d’estate cammina un paio d’ore per raggiungere una caletta isolata, spesso la trova colonizzata dalle imbarcazioni arrivate via mare. Non ci sono limiti nazionali al riguardo: ogni località ha regole stabilite dalle autorità portuali locali, che fissano la distanza tra i 50 e i 500 metri a seconda del fondale e dell’ambiente circostante.

IL COMUNE DI PONZA quest’anno ha introdotto, per la prima volta in Italia, una tassa per tutti i proprietari di barche che ormeggiano nelle sue acque territoriali. Il ticket di stazionamento è entrato in vigore lo scorso primo agosto e ammonta a 3 euro per metro di barca al giorno nei mesi di luglio e agosto e 2 euro per metro al giorno a giugno e settembre, con sconti dal 10% al 40% a seconda del periodo di permanenza. A eccezione di quest’isola, non esistono imposte pubbliche per l’ormeggio a riva. Gli armatori pagano solo per l’affitto del posto barca alle società titolari dei porti turistici, che gestiscono queste strutture secondo normative simili a quelle delle concessioni balneari. Le loro principali associazioni di categoria, Confindustria Nautica e Assonat – Confcommercio, chiedono da anni di evitare le gare ritenendo di non rientrare nella direttiva europea Bolkestein, che impone di mettere a bando anche queste concessioni.

L’IMPATTO AMBIENTALE dei porti turistici non si limita alla cementificazione e all’alterazione del paesaggio, ma anche all’aumento dell’erosione costiera. I moli guardiani, costruiti per permettere alle imbarcazioni di attraversare la linea dei frangenti ed entrare in porto, interrompono i flussi di apporto di sabbia e determinano così una forte erosione delle spiagge poste sottoflutto. Secondo il geologo Enzo Pranzini, ordinario di dinamica e difesa dei litorali all’Università di Firenze, «la gran parte dell’erosione che si è sviluppata lungo le coste dell’Adriatico centro-settentrionale è stata innescata proprio dai moli guardiani dei porti».

INOLTRE I PORTI TURISTICI hanno determinato una significativa scomparsa della flora e della fauna marine. Il traffico delle imbarcazioni a motore comporta la desertificazione dei fondali a causa della morte delle praterie di posidonia, una pianta acquatica che funge da habitat dei pesci per riprodursi, depositare uova e rifugiarsi. Le imbarcazioni rendono insalubre sia l’aria che l’acqua, dal momento che gli yacht vengono spesso tenuti in moto anche quando sono attraccati, per permettere il funzionamento delle macchine di bordo. Nonostante ciò, in Italia si continuano a costruire porti turistici: i posti barca nella nostra penisola sono aumentati di 13 mila unità dal 2010 a oggi secondo il Mit, e la tendenza non accenna a invertirsi.

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