Internazionale

In stallo le trattative tra Paesi ricchi e poveri: fallita la Cop16 sulla biodiversità

La conferenza sulla biodiversità delle Nazioni unite Cop16 a Cali, in Colombia foto ApLa Cop 16 di Cali, in Colombia

Cali, Colombia Nessun accordo sul finanziamento del fondo previsto nell’Accordo Onu del 2022

Pubblicato circa 2 ore faEdizione del 5 novembre 2024

La Cop16 sulla biodiversità è fallita. I delegati presenti a Cali, in Colombia, non hanno raggiungo un accordo sulle modalità per rendere operativi i 23 punti dell’Accordo Onu del 2022 per proteggere fino al 30% del Pianeta entro il 2030. Formalmente, la chiusura della Conferenza delle parti (Cop) della Convenzione sulla Diversità Biologica (Cbd) è stata posticipata, come ha spiegato David Ainsworth, ma la realtà è che l’applicazione dell’accordo di Kunming-Montreal, siglato due anni fa per salvare il Pianeta e gli esseri viventi dalla deforestazione, dallo sfruttamento eccessivo, dal cambiamento climatico e dall’inquinamento, è una chimera.

Non c’è stato accordo sulle modalità di finanziamento del fondo internazionale che dovrebbe sostenere l’investimento imponente, con i Paesi più ricchi che dovrebbero garantire almeno 30 miliardi di dollari. Dopo 12 giorni di vertice, né i Paesi ricchi, guidati a Cali da Unione Europea, Giappone e Canada, né i Paesi in via di sviluppo, guidati dal Brasile e dal gruppo africano, hanno fatto un passo verso l’altro. Di fronte allo stallo, la presidenza colombiana ha sospeso la conferenza. La battaglia finanziaria Nord-Sud riprenderà la settimana prossima, in occasione della Cop sul clima, che si terrà in Azerbaigian da lunedì 11 novembre. Una nota del Wwf analizza ciò che è successo in Colombia: «Alla Cop16 di nuove risorse per la biodiversità se ne sono viste ben poche. Solo un numero ristretto di Stati sviluppati ha annunciato nuovi contributi a favore del Global Biodiversity Framework Fund, che ora conta impegni per 407 milioni di dollari. Una goccia nell’oceano a fronte dei 7mila miliardi che annualmente sono indirizzati ad attività che aggravano il cambiamento climatico, la perdita di biodiversità e il degrado degli ecosistemi. E purtroppo dobbiamo registrare che l’Italia fa peggio dei suoi partner G7: è l’unico Paese G7 parte della Convenzione sulla Diversità Biologica a non aver ancora contribuito».

Secondo Stefano Raimondi, responsabile nazionale biodiversità di Legambiente, «è grave e preoccupante il mancato accordo su come finanziare la protezione della natura nei Paesi poveri con cui si è conclusa la Cop16. In un momento storico in cui la crisi climatica ha accelerato il passo, con effetti sempre più impattanti su ambiente e perdita di biodiversità, sarebbe stato fondamentale dare un segnale importante con un solido accordo finanziario lanciando, così, un messaggio chiaro e preciso anche in vista della prossima Cop29 sul clima in programma a Baku».

Chiarezza che manca almeno nel nostro Paese, dove il legame tra perdita di biodiversità, sfruttamento delle risorse fossili e cambiamento climatico è ancora poco compreso: a una settimana dall’inizio della Cop29 di Baku, così, ActionAid Italia, Focsiv, Movimento Laudato Si’, ReCommon e Wwf Italia – con il sostegno di organizzazioni internazionali come Oil Change International e The Corner House – si sono rivolte al governo italiano per chiedere l’interruzione dei finanziamenti pubblici internazionali di progetti fossili. L’Italia, sostengono le associazioni, risulta ancora il primo finanziatore pubblico di combustibili fossili in Europa e il quinto a livello globale, come rivelato da una pubblicazione di Oil Change International e Friends of the Earth Stati Uniti. Questo in un contesto in cui, unico bicchiere mezzo pieno, i finanziamenti pubblici internazionali di progetti fossili da parte dei firmatari della Dichiarazione di Glasgow, il Patto per il clima del 2021, sono in calo: nel 2023, i firmatari originari hanno stanziato un totale di 5,2 miliardi di dollari, con una diminuzione tra i 10 e i 15 miliardi di dollari rispetto alla media annuale 2019-2021.

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