In stallo le trattative tra Paesi ricchi e poveri: fallita la Cop16 sulla biodiversità
Cali, Colombia Nessun accordo sul finanziamento del fondo previsto nell’Accordo Onu del 2022
Cali, Colombia Nessun accordo sul finanziamento del fondo previsto nell’Accordo Onu del 2022
La Cop16 sulla biodiversità è fallita. I delegati presenti a Cali, in Colombia, non hanno raggiungo un accordo sulle modalità per rendere operativi i 23 punti dell’Accordo Onu del 2022 per proteggere fino al 30% del Pianeta entro il 2030. Formalmente, la chiusura della Conferenza delle parti (Cop) della Convenzione sulla Diversità Biologica (Cbd) è stata posticipata, come ha spiegato David Ainsworth, ma la realtà è che l’applicazione dell’accordo di Kunming-Montreal, siglato due anni fa per salvare il Pianeta e gli esseri viventi dalla deforestazione, dallo sfruttamento eccessivo, dal cambiamento climatico e dall’inquinamento, è una chimera.
Non c’è stato accordo sulle modalità di finanziamento del fondo internazionale che dovrebbe sostenere l’investimento imponente, con i Paesi più ricchi che dovrebbero garantire almeno 30 miliardi di dollari. Dopo 12 giorni di vertice, né i Paesi ricchi, guidati a Cali da Unione Europea, Giappone e Canada, né i Paesi in via di sviluppo, guidati dal Brasile e dal gruppo africano, hanno fatto un passo verso l’altro. Di fronte allo stallo, la presidenza colombiana ha sospeso la conferenza. La battaglia finanziaria Nord-Sud riprenderà la settimana prossima, in occasione della Cop sul clima, che si terrà in Azerbaigian da lunedì 11 novembre. Una nota del Wwf analizza ciò che è successo in Colombia: «Alla Cop16 di nuove risorse per la biodiversità se ne sono viste ben poche. Solo un numero ristretto di Stati sviluppati ha annunciato nuovi contributi a favore del Global Biodiversity Framework Fund, che ora conta impegni per 407 milioni di dollari. Una goccia nell’oceano a fronte dei 7mila miliardi che annualmente sono indirizzati ad attività che aggravano il cambiamento climatico, la perdita di biodiversità e il degrado degli ecosistemi. E purtroppo dobbiamo registrare che l’Italia fa peggio dei suoi partner G7: è l’unico Paese G7 parte della Convenzione sulla Diversità Biologica a non aver ancora contribuito».
Secondo Stefano Raimondi, responsabile nazionale biodiversità di Legambiente, «è grave e preoccupante il mancato accordo su come finanziare la protezione della natura nei Paesi poveri con cui si è conclusa la Cop16. In un momento storico in cui la crisi climatica ha accelerato il passo, con effetti sempre più impattanti su ambiente e perdita di biodiversità, sarebbe stato fondamentale dare un segnale importante con un solido accordo finanziario lanciando, così, un messaggio chiaro e preciso anche in vista della prossima Cop29 sul clima in programma a Baku».
Chiarezza che manca almeno nel nostro Paese, dove il legame tra perdita di biodiversità, sfruttamento delle risorse fossili e cambiamento climatico è ancora poco compreso: a una settimana dall’inizio della Cop29 di Baku, così, ActionAid Italia, Focsiv, Movimento Laudato Si’, ReCommon e Wwf Italia – con il sostegno di organizzazioni internazionali come Oil Change International e The Corner House – si sono rivolte al governo italiano per chiedere l’interruzione dei finanziamenti pubblici internazionali di progetti fossili. L’Italia, sostengono le associazioni, risulta ancora il primo finanziatore pubblico di combustibili fossili in Europa e il quinto a livello globale, come rivelato da una pubblicazione di Oil Change International e Friends of the Earth Stati Uniti. Questo in un contesto in cui, unico bicchiere mezzo pieno, i finanziamenti pubblici internazionali di progetti fossili da parte dei firmatari della Dichiarazione di Glasgow, il Patto per il clima del 2021, sono in calo: nel 2023, i firmatari originari hanno stanziato un totale di 5,2 miliardi di dollari, con una diminuzione tra i 10 e i 15 miliardi di dollari rispetto alla media annuale 2019-2021.
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