Internazionale

Cali, i popoli indigeni protagonisti di Cop16 sulla biodiversità

Proteste contro le trivellazioni di gas e petrolio in Amazzonia alla Cop16 di Cali (Colombia)Proteste contro le trivellazioni di gas e petrolio in Amazzonia alla Cop16 di Cali (Colombia), foto Ernesto Guzman /Epa

Il vertice Il presidente colombiano Gustavo Petro ha occupato la scena, assente Lula. Resta irrisolto il nodo delle risorse alle popolazioni che ne hanno bisogno senza passare dai governi

Pubblicato 2 giorni faEdizione del 3 novembre 2024

Fare «pace con la natura» – lo slogan della Cop16 sulla biodiversità – è un compito ancora possibile ma decisamente arduo, come indicano i risultati della conferenza che si è conclusa ieri a Cali, in Colombia, tra luci e ombre.

ALMENO SUL VERSANTE della partecipazione, però, la Cop è stata un successo al di là delle più rosee aspettative: 900mila persone, rispetto alle 150mila attese, hanno visitato la Zona verde, l’area aperta alla cittadinanza – per la prima volta nella storia delle Cop sulla biodiversità – che ha accolto 1.100 eventi culturali e artistici. «Abbiamo voluto che fosse così», ha dichiarato il presidente colombiano Gustavo Petro, denunciando la tendenza a organizzare i vertici internazionali in luoghi inaccessibili alla gente, come se non fossero i popoli del mondo a dover prendere le decisioni che li riguardano. Ma anche il numero dei rappresentanti stranieri (tra cui 110 ministri) ha superato ogni previsione: ne sono arrivati 23mila, un altro record assoluto. Talmente tanti che gli organizzatori hanno dovuto sistemarli persino in motel a ore.

UNICA NOTA DOLENTE quella dei capi di stato: rispetto ai dieci attesi se ne sono presentati solo sei (quelli di Armenia, Guinea-Bissau, Ecuador, Suriname e il presidente del Consiglio di Transizione di Haiti), benché sempre meglio delle precedenti Cop, quando non era venuto nessuno. «Nemmeno Lula mi ha accompagnato», ha dichiarato Petro dopo il forfait del presidente brasiliano, giustificato, pare, dal trauma cranico da lui riportato il 21 ottobre. È sempre più Petro, del resto, e non Lula ad assumere la leadership nella lotta all’emergenza climatica e ambientale: così mostrano non solo i suoi appelli – come quelli a favore della transizione energetica, della trasformazione del sistema finanziario e della giusta ripartizione dei benefici della natura – ma anche le sue proposte.

QUELLA, PER ESEMPIO, di scambiare il pagamento del debito estero con risorse dirette per la protezione dell’ambiente o il lancio di una coalizione di paesi per la «pace con la natura», per far fronte alla crisi climatica e alla perdita di biodiversità. O, ancora, la creazione di un gruppo di lavoro in vista di un accordo globale sulla tracciabilità di minerali strategici per la transizione energetica, come stagno, cobalto, tantalio, tungsteno. Senza contare che, diversamente dai governi della «troika di presidenze Cop», Emirati, Azerbaigian e Brasile, che, secondo Oil Change International, mirano a incrementare la produzione di petrolio e gas di un 32% entro il 2035, Petro ha ribadito il suo no all’autorizzazione di nuovi progetti di esplorazione petrolifera in Colombia, perché «firmare nuovi contratti significherebbe mettere i nostri figli e nipoti di fronte alla morte della specie umana».

SUL FRONTE invece delle decisioni concrete, è mancata, al solito, quella relativa al finanziamento, senza la quale la conservazione della biodiversità rischia di restare un miraggio. Se l’obiettivo era assicurare l’invio tempestivo e diretto di risorse alle popolazioni che ne hanno bisogno (senza passare per i governi) attraverso un nuovo fondo specifico per la biodiversità, i paesi del nord globale hanno chiesto di rimandare ogni decisione alla Cop18 nel 2028, a soli due anni dalla data limite entro cui gli impegni assunti dai vari paesi dovrebbero essere mantenuti.

DECISAMENTE MEGLIO, invece, è andata riguardo a una delle grandi scommesse della presidente della Cop e infaticabile ministra dell’Ambiente colombiana, Susana Muhamad: quella sul ruolo dei popoli indigeni, custodi dell’80% della biodiversità mondiale. D’ora in poi, popoli originari e comunità locali costituiranno un gruppo di lavoro permanente (sussidiario, in termini tecnici) nei negoziati della Convenzione sulla diversità biologica e potranno dunque contare su risorse permanenti. Sono stati proprio i popoli indigeni, del resto, i grandi protagonisti della Cop di Cali, rivendicando per esempio la co-presidenza della Cop30 sul clima che si svolgerà a Belém nel 2025 e lanciando ufficialmente il G9 dell’Amazzonia indigena, un’alleanza di organizzazioni dei nove paesi della Panamazzonia per la difesa della foresta, della biodiversità e del clima globale.

FONDAMENTALE anche il riconoscimento del ruolo cruciale dei popoli afrodiscendenti nella protezione della natura, su cui è intervenuta pure la vicepresidente Francia Márquez: «Ce l’abbiamo fatta! Grazie alla leadership di Brasile e Colombia, abbiamo ottenuto che il mondo riconosca le azioni e i contributi degli afrodiscendenti nel quadro della Convenzione sulla biodiversità». Altro accordo importante è quello per la creazione del «Fondo di Cali per l’informazione di sequenze digitali», un meccanismo di finanziamento destinato a distribuire in maniera equa i benefici delle risorse genetiche digitali.

ABBONAMENTI

Passa dalla parte del torto.

Sostieni l’informazione libera e senza padroni.
Leggi senza limiti il manifesto su sito e app in anteprima dalla mezzanotte. E tutti i servizi della membership sono inclusi.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento