Torna in scena l’agenda “Verde”
L’agenda verde appare un po’ appannata sul proscenio mediatico globale, ma le scadenze restano fitte seppur al di sotto della soglia di attenzione pubblica: fra l’11-22 novembre prossimo vi sarà la COP 29 a Baku in Azerbaigian. COP è un acronimo per la Conferenza delle Parti, ossia dei membri della Convenzione Quadro dell’Onu per il cambiamento climatico. Annualmente i membri si riuniscono per fare il punto della situazione e stringere nuovi impegni per la transizione ecologica. Sul sito dell’Unep (Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente) si legge che l’incontro «si concentrerà sulla definizione del futuro della finanza climatica». Era stato proprio l’Unep assieme alla Banca Mondiale a proporre un rapporto nel 2015 il cui sottotitolo appare indicativo: Guida strategica per il settore pubblico per stimolare lo sviluppo di mercati di green bond nel settore privato.
Soluzioni di mercato, partnership pubblico-privato, governance tecnocratica, coinvolgimento delle istituzioni finanziarie più potenti e dei maggiori fondi finanziari. Questa la formula che ha portato l’ambientalismo fuori dai contesti marginali cui era relegato quindici anni fa per regalargli il proscenio globale. Per lo più a detrimento degli ecologisti veri.
La quadratura del cerchio che si cerca di fare è di conciliare la salvaguardia dell’ambiente con robusti profitti privati. Di più: una tutela della biosfera deriverebbe proprio dalla spinta dei profitti privati. Il ruolo delle istituzioni pubbliche non è di agire direttamente sull’impatto ecologico, ma di costruire una architettura regolativa attraverso la quale far svolgere al mercato il lavoro. Di qui il fiorire di una attività intensa di tassonomie, metriche, regolamenti volti a dare una misura quantitativa rigorosa di quanto attività finanziarie, investimenti e bilanci aziendali possano essere valutati in termini di sostenibilità. Il processo ha avuto i suoi effetti: il giro d’affari sulla finanza verde è cresciuto enormemente. La emissione di obbligazioni green ha visto la cifra record di 356 miliardi nei primi sei mesi del 2024, secondo i dati Bloomberg; l’importo più consistente lo ha fatto il governo italiano piazzando il Btp green per 9 miliardi. I titoli di Stato sono importanti per le banche; sia perché esse fanno da intermediarie con i piccoli risparmiatori, sia perché si tratta di attività considerate sicure, il che migliora la posizione degli istituti agli occhi delle autorità regolative (tipicamente le banche centrali). L’ascesa di questo tipo di prodotti non è casuale o dovuta a improvvise conversioni all’ecologismo, ma al fatto che le banche centrali stanno modificando i loro criteri di giudizio dando buone pagelle per chi detiene attività finanziarie sostenibili. Quindi gli istituti di credito sono spinti a farne incetta. In crescita pure il risparmio gestito da fondi finanziari “sostenibili”: secondo un recente rapporto di Morgan Stanley sono arrivati nel 2024 a 3,5 trilioni di dollari, in cui fa la parte del leone l’azionariato (57%).
In tutto ciò è presente un vasto greenwashing, cioè il camuffamento di attività non ecologiche spacciate come sostenibili. È di questo ottobre una denuncia svolta alla autorità francese di vigilanza contro BlackRock, che nei suoi fondi di investimento nel paese ne avrebbe gabellato come tali 18 che in realtà sono legate a aziende dal forte impatto climalterante.
Ma non c’è solo questo: il processo crea nuovi mercati e nuove modalità di accumulazione di profitto; si pensi al rating ambientale o alle consulenze necessarie alla costruzione di attività conformi alla regolazione sugli standard di sostenibilità. Vi è creazione di nuovo valore.
Negli incontri previsti dall’Unep a Baku vi sono iniziative sul finanziamento degli immobili a zero emissione; per la transizione energetica, con al centro un gruppo chiamato Net-Zero Banking Alliance (NZBA) per discutere «come governo, aziende e finanza possono lavorare insieme per accelerare i progressi»; un incontro con investitori e funzionari governativi per aumentare il finanziamento per raggiungere il rispetto degli Accordi di Parigi. Non si vede niente oltre alla promozione del “capitalismo verde”, nonostante i dubbi e i problemi che tale impostazione ha sollevato.
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