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«The Boy and the Heron», Hayao Miyazaki vola libero

«The Boy and the Heron», Hayao Miyazaki vola liberoUn poster del film in un cinema giapponese – foto Ansa

Cinema Nelle sale giapponesi l’ultimo film del maestro dell’animazione, ottimi gli incassi nonostante la scelta di rinunciare alla promozione. Un lavoro criptico e personale, prodotto unicamente dallo Studio Ghibli, ricco di autocitazioni e di riferimenti a opere d’arte, summa di 60 anni di carriera

Pubblicato più di un anno faEdizione del 30 luglio 2023

Atteso come uno degli eventi cinematografici dell’anno, ma allo stesso tempo con grandi interrogativi dovuti alla particolare pubblicità con cui è stato lanciato, l’ultimo lungometraggio diretto da Hayao Miyazaki – dopo due settimane dal suo debutto nelle sale dell’arcipelago nipponico – ha fornito le sue risposte.

DAL PUNTO di vista del botteghino, The Boy and the Heron, in originale Kimitachi wa do ikiru ka (Voi come vivrete?) ha staccato in totale fino ad ora circa due milioni e mezzo di biglietti per un totale cumulativo di incassi di circa quattro miliardi di yen (ventisei milioni di euro). Un dato sorprendente visto che del film non è stato diffuso nessun trailer e nessun elemento visivo è disponibile ancora oggi, fatta eccezione per il poster con l’immagine, disegnata da Miyazaki stesso, di un airone cenerino. Anche della trama si sa poco o nulla, è stata infatti una campagna promozionale che ha puntato tutto sul crescere dell’attesa e che, stando ai numeri, ha finito per dare i suoi frutti almeno fin qui.
Legato a questa estemporanea forma di non-promozione, voluta dallo storico produttore Ghibli Toshio Suzuki e che ha fatto preoccupare non poco lo stesso Miyazaki, un’altra particolarità del lungometraggio è il modo in cui è stato prodotto. The Boy and the Heron non è infatti il risultato, come tutti gli altri lavori targati Studio Ghibli, di una committee – un gruppo formato per l’occasione comprendente varie aziende e compagnie ognuna con il proprio tornaconto – ma solamente dallo studio fondato nel 1985. Questo ha probabilmente permesso l’azzardo del lancio senza trailer e senza alcuna presenza televisiva nei mesi precedenti al debutto, ma ha anche, forse, garantito un’ulteriore libertà creativa a Miyazaki e ai suoi collaboratori. Secondo una conversazione risalente ad anni fa fra Mamoru Oshii e Suzuki, molte delle idee più fuori dagli schermi scaturite dell’animatore e regista giapponese sono state in passato «raddrizzate» o addolcite in fase di pre-produzione.

Nel lungometraggio in questione, Miyazaki sembra esser andato più che altre volte per la sua strada, realizzando un film personale, come lo era il precedente Si alza il vento del 2013, ma anche un lavoro criptico che non fa sconti allo spettatore medio. L’opinione generale in Giappone è infatti che, almeno secondo quanto si scrive sui social o in televisione, The Boy and the Heron sia un film di difficile comprensione.

ENTRARE in sala senza avere la minima idea di che cosa si vada a vedere, non tanto per la storia i cui punti salienti sono stati resi noti dopo il debutto, ma piuttosto per quanto riguarda l’aspetto visivo del lungometraggio, è stata un’esperienza rinfrescante e forse irripetibile. Il film probabilmente sarà distribuito anche in Italia, uscirà negli Stati Uniti alla fine di quest’anno, quindi per cercare di replicare l’esperienza fatta dagli spettatori in Giappone questa recensione rivelerà poco della trama, ma si concentrerà su alcuni aspetti generali del lavoro e del suo rapporto con la filmografia di Miyazaki.
Le vicende si svolgono nell’arcipelago durante la Seconda guerra mondiale e girano attorno un ragazzo di nome Mahito, il cui padre produce aerei da guerra, e che perde la madre in un incendio, forse causato dai bombardamenti aerei su Tokyo, ma questo particolare non è esplicitato. Il padre si sposa con Natsuko, la sorella minore della madre scomparsa e i due vanno a vivere assieme a lei in una villa in campagna. Qui Mahito incontra uno strano airone cenerino che sembra seguirlo. Il titolo giapponese Kimitachi do ikiru ka si rifà ad un libro scritto nel 1937 da Genzaburo Yoshino, volume molto amato da Miyazaki che racconta la crescita di un ragazzo durante l’adolescenza. È in commercio anche la traduzione italiana, E voi come vivrete? (Edizioni Kappalab, 2019). Il lungometraggio però non è l’adattamento del libro, ne coglie solo alcuni spunti o forse, meglio, una vaga idea di fondo.

Hayao Miyazaki, foto Ansa

SI CAPIRÀ da questa breve descrizione come The Boy and the Heron sia per certi versi accostabile a quanto fatto da Miyazaki in Si alza il vento, dove il regista infondeva molto della propria formazione e delle sue esperienze giovanili. Semplificando e per dare un punto di riferimento visuale, un terzo circa del film è per tono e stile d’animazione simile al lungometraggio del 2013. Nel resto del lavoro, ma è qualcosa che affiora qua e là anche nella prima parte, lo stile diventa più surreale, grottesco e abbondante di colori, qui l’approccio visivo ricorda molti momenti salienti dei lavori Ghibli, da La città incantata a Ponyo, ma anche Mary e il fiore della strega dello Studio Ponoc, diretto da Hiromasa Yonebayashi nel 2017.
Dietro alla sapiente mano di Takeshi Honda come direttore delle animazioni, le sequenze dell’incendio e quelle in cui la materia sembra sciogliersi o curvarsi sono fra le più significative e restano nella memoria, il lungometraggio diventa infatti nei suoi due terzi finali così visivamente e cromaticamente ricco, cinetico e fantasioso che quasi esonda da sé stesso, lasciando la trama, una storia che molto domanda allo spettatore, quasi in secondo piano. Convergono quindi tutti i sessant’anni di carriera nel mondo dell’animazione di Miyazaki: sembra a volte che il regista giapponese si autociti, o meglio, assorba e rigetti sullo schermo, come Senza-Volto in La città incantata, tutti i temi affrontati e gli elementi visivi e stilemi sviluppati e usati in questi sei decenni. Ed è una benedizione.

The Boy and the Heron è inoltre ricco, troppo ricco si potrebbe dire, di citazioni o accenni ad opere d’arte della tradizione occidentale e in parte orientale, da Dante a Böcklin, da De Chirico ad Akira, fino a Alice nel mondo delle meraviglie e proprio per questo può risultare un po’ sbilanciato e sovraccarico. Forse servono più visioni per decifrarlo o per averne un’idea maggiormente oggettiva, ma spesso le opere imperfette e sbilanciate, quelle più personali che vanno per la loro strada, sono quelle ad offrire di più.

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