Circa venticinque anni fa, esattamente il 12 luglio del 1997, usciva nelle sale dell’arcipelago giapponese Mononoke hime (Principessa Mononoke), uno dei lungometraggi animati più amati e importanti nella storia del cinema giapponese. Ottavo lavoro diretto da Hayao Miyazaki e prodotto naturalmente dallo Studio Ghibli, Principessa Mononoke ha contribuito in maniera fondamentale a cementare la popolarità dell’animazione giapponese fuori dall’arcipelago. Il successo ottenuto in patria infatti, il film fu campione d’incassi del 1997, si riverberò successivamente anche al di fuori dei confini, raggiungendo nel 1999 i cinema americani e l’anno dopo quelli della nostra penisola.

ATTUALMENTE riportato nelle sale italiane, fino al 20 luglio, da Lucky Red, Principessa Mononoke rimane ancora oggi una delle opere più dense e affascinanti tra quelle scaturite dall’immaginazione di Miyazaki. Sulla storia di Ashitaka, giovane guerriero della dinastia Emishi colpito da una maledizione mortale e del suo rapporto con San, ragazza allevata e cresciuta dai lupi, e su tutto il complesso rapporto fra il gruppo di umani che stanno distruggendo la foresta e tutte le divinità/spiriti che lì vi abitano, è stato già scritto e detto molto. Ci sembrava interessante accennare però ad alcuni aspetti legati all’opera, forse meno conosciuti ai più, che ci dicono come questo lungometraggio sia la risultante dell’incrocio dei diversi processi creativi messi in moto da Miyazaki e dal suo studio nel corso degli anni.Fra la fine degli anni settanta e gli inizi degli ottanta, Miyazaki disegna alcuni schizzi in acquerello di una storia con protagonista una principessa, che abita in una foresta assieme ad una sorta di fantastico e grande animale dalle fattezze simili a quelle di un orso o di un gatto. Questo abbozzo di storia viene realizzato da Miyazaki per cercare di ottenere il via libera alla realizzazione di un lungometraggio, ma l’idea viene scartata e così non se ne fa nulla.

LA STORIA  e il tono, questi disegni verranno pubblicati in un libro illustrato intitolato proprio Mononoke hime (Principessa Mononoke) nei primi anni novanta, sono lontanissimi da quello che diventerà il lungometraggio del 1997, al contrario è evidente come si tratti, tanto per le atmosfere quasi da fiaba, quanto per le fattezze dell’animale, di una sorta di proto-Totoro.
Il film Principessa Mononoke deve molto invece, sia per le sue tematiche che per il pessimismo di fondo e la violenza portata sullo schermo, al manga Nausicaä della Valle del vento, soprattutto alla parte non adattata nell’omonimo film animato del 1984. Miyazaki infatti lavora al manga dal 1982 al 1994, gli ultimi capitoli del fumetto sono abbastanza distanti da quelli iniziali e trovano la loro ideale e filosofica continuazione proprio in Principessa Mononoke. Del resto in un periodo che copre più di un decennio, molte cose cambiano, sia nella vita di Miyazaki che nel paese e nel mondo in cui vive, da un lato l’autore giapponese è impegnato nella fondazione dello Studio Ghibli e nella realizzazione di opere solari quali Totoro o Kiki – Consegne a Domicilio, dall’altro il Giappone vive il periodo della bolla economica e il dramma del suo scoppio. A livello internazionale inoltre, il 1986 è l’anno del disastro di Chernobyl, mentre i primi anni novanta sono il periodo delle Guerre nei Balcani. La visione pessimistica di Miyazaki, pessimista riguardo all’essere umano e alla sua posizione nel creato, si riversa allora negli ultimi capitoli del manga, pagine densissime e di travolgente bellezza, e trova uno sbocco animato, altrettanto affascinante, nel lungometraggio del 1997.

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