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Murakami e i suoi sortilegi

Murakami e i suoi sortilegi

Scrittori giapponesi Immagini di unicorni, una biblioteca dove un uomo legge i sogni, ambienti desolati. Lo scrittore giapponese torna ai suoi scenari , e l’effetto è ipnotico: «La città e le sue mura incerte», da Einaudi

Pubblicato 2 giorni faEdizione del 3 novembre 2024

L’approssimarsi di un libro di Murakami Haruki genera sempre un allarmato senso di attesa nei suoi ammiratori, che scandagliano internet alla ricerca di indiscrezioni sulla data di uscita.  Pochi scrittori suscitano oggi un’aspettativa così carica di impazienza. Naturalmente non tutti condividono questa passione, anzi i detrattori sembrano trovare alimento proprio nel suo successo, lo attribuiscono a operazioni di marketing,  ed evidenziano con soddisfazione i suoi difetti: ripetizioni, finali sospesi, personaggi abbandonati a metà strada. Apprezzare Murakami però non significa ignorare i suoi difetti, ma capire che sono parte inseparabile del tessuto connettivo della sua scrittura.

Partiamo proprio dalla ripetitività,  evidente sia nel ricorrere insistente di parole e concetti, sia nel periodico riaffiorare di un repertorio ben definito di temi e immagini. Questa tendenza è particolarmente  forte nel suo ultimo romanzo,  La città e le sue mura incerte, sapientemente tradotto da Antonietta Pastore (Einaudi, pp. 560, € 23,00). La descrizione della città popolata da unicorni, con una biblioteca dove un uomo ha il compito di leggere i sogni, torna per la terza volta nella sua opera: comparsa inizialmente in un racconto giovanile, diventò il centro di una delle narrazioni binarie della Fine del mondo e il paese delle meraviglie, e adesso si ripresenta in una forma simile alle versioni precedenti, anche se inserita in un contesto parzialmente rinnovato.

L’energia narrativa contenuta in questa visione evidentemente non si era esaurita e Murakami, come lui stesso racconta nella postfazione, ha sentito il bisogno di riprenderla, rivestendola di nuovi significati. Non solo la sensazione di déja vu è innegabile, ma le immagini degli unicorni, degli ambienti malinconici e desolati della città, la raffigurazione del muro  e il tema della separazione dell’ombra dal corpo, sono qui reiterati in modo sistematico. Riproporre scenari già noti  attutisce la sorpresa, eppure questa ripetizione ha l’effetto di far penetrare in profondità nella psiche del lettore l’immagine e le atmosfere di questo mondo incerto  – specchio in cui la realtà si riflette allo stesso tempo nitida e alterata – con un potere quasi ipnotico. La differenza che separa gli ammiratori di Murakami dai suoi detrattori sta nella disponibilità ad abbandonarsi o meno a questo sortilegio. I suoi libri non richiedono una suspension of disbelief quanto un’adesione da adepti, un desiderio di lasciarsi condurre in quel territorio dove il reale sfuma nell’iperreale e l’iperreale trascolora nell’irreale. Tale fedeltà pretende qualche sacrificio ma è ripagata da quel senso di salutare spaesamento che la letteratura, quando sa addentrarsi in zone inesplorate dell’immaginazione, può produrre.

In un periodo in cui l’ambizione romanzesca, la capacità e la voglia di creare grandi architetture narrative sembra avere disertato la letteratura per trasferirsi nei manga, negli anime e nelle serie televisive, Murakami rimane uno dei pochi autori capaci di orchestrare visioni grandiose, e allo stesso tempo legate a una dimensione intimistica grazie alla luce umanistica e sentimentale che le attraversa. Anche in questo romanzo, come in 1Q84, la narrazione prende le mosse da un amore platonico, e ha per protagonisti un ragazzo di diciassette anni e una ragazza di sedici. È lui a rievocare, da adulto, la loro relazione, fatta di baci furtivi e di parole scambiate sulle panchine di un parco o passeggiando lungo i fiumi o sulla riva del mare.

Come sempre, la storia è filtrata da un io che tendiamo a identificare con Murakami. Che i suoi narratori rappresentino o meno il mondo privato dell’autore, essi si fanno interpreti del suo sistema di valori. È attraverso questi personaggi, sempre maschili e tanto simili da confonderli fra loro, che Murakami comunica il suo modo di vedere il mondo. Il protagonista, come quasi sempre nei suoi romanzi, non ha nome, e per una parte della vicenda nemmeno un’ombra, avendo rinunciato ad essa per spostarsi nel mondo parallelo dove spera di  entrare in contatto con il vero «sé» della sua innamorata. Per qualche tempo riesce a trovare ospitalità in questo mondo magico, ma un giorno, senza sapere perché, viene espulso e ricacciato nella vita di prima.

Una volta tornato in seno alla realtà, prova a costruirsi un suo spazio personale trasportandovi la dimensione irreale da cui è stato, suo malgrado, allontanato. Egli trova un interlocutore, prima nel signor Koyasu, un anziano signore che ha la singolare abitudine di indossare la gonna, e che si rivelerà essere un fantasma, poi in un ragazzo affetto dalla sindrome del savant, che anela a staccarsi da una comunità ostile verso la sua diversità, per diventare un lettore di sogni, in uno scambio di ruolo con il protagonista.

In Giappone il libro ha provocato la varietà di reazioni che sempre accoglie ogni libro di Murakami: entusiasmo dei fan, critiche astiose, curiosità da parte di lettori giovani che lo hanno scoperto per la prima volta. E, naturalmente, ha suscitato interpretazioni e discussioni. In tanti sono stati colpiti dall’assenza del tema del desiderio carnale che in passato aveva alimentato scene di sesso piuttosto esplicite. Il giovane diciassettenne ha per la sua innamorata un trasporto soprattutto mentale e non avverte «l’urgenza di una maggiore intimità», e lei a sua volta gli promette che ci saranno rapporti tra loro solo quando il suo cuore e il suo corpo, «distanti l’uno dall’altro», si riuniranno.

Quando il narratore, in età matura, prova simpatia per una donna, questa gli confessa di avere un’avversione per i rapporti sessuali, al punto da indossare un body speciale che le comprime il corpo rendendolo inaccessibile. Qualcuno ha ipotizzato che potrebbe esserci stata da parte di Murakami un’autocensura in seguito alle tante critiche ricevute da chi lo aveva accusato di ridurre le donne a puro oggetto di desiderio maschile. Ma tale assenza di libido, più che a una reazione di Murakami alle critiche, appartiene all’atmosfera crepuscolare del libro, in cui il sentimento dominante è una malinconia che sembra impregnare i luoghi e le vite delle persone e che soffoca, fino quasi a spegnerla, la vitalità dei personaggi.

Oggi che tra i romanzi giapponesi di successo imperversano quelli, gradevoli e consolatori,  ambientati in librerie, caffè e ristoranti, dà sollievo ritrovare uno dei luoghi canonici preferiti di Murakami, la biblioteca. In questo libro ce ne sono due, quella del mondo «irreale» dove i testi offerti in lettura sono i sogni, e quella «reale» dove il protagonista trova lavoro. Le biblioteche di Murakami sono luoghi della mente, e l’importanza che rivestono in questo romanzo sembra suggerire che con il progressivo sbiadire della libido, ciò che resta di davvero importante, più identitario del sesso e dell’affermazione sociale, è il desiderio di perdersi e ritrovarsi nelle pagine dei libri. In un mondo pallido e disincarnato i cui contorni sfumano in un orizzonte sempre più indistinguibile, a sopravvivere è la magia infinita delle parole.

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