Giappone 1945, nella grotta degli orrori
Maboroshi "Gama" è il nuovo lavoro di Kaori Oda, talentuosa filmmaker e artista giapponese autrice negli ultimi anni di interessanti documentari dal taglio sperimentale quali Aragane (2015) e Cenote (2019).
Maboroshi "Gama" è il nuovo lavoro di Kaori Oda, talentuosa filmmaker e artista giapponese autrice negli ultimi anni di interessanti documentari dal taglio sperimentale quali Aragane (2015) e Cenote (2019).
Nell’isola di Okinawa esistono delle grotte naturali, splendide cavità plasmate nel corso di millenni e situate sotto foreste tropicali, che sono però anche tristemente note, almeno alcune di esse, per delle tragedie avvenute al loro interno, durante il secondo conflitto mondiale. Specialmente una di queste, la grotta Chibichiri, è stata teatro di un «suicidio» forzato di massa di civili, quando dopo lo sbarco delle forze americane il primo aprile 1945, molti abitanti della zona si rifugiarono nella cavità e pensando che gli americani avrebbero ucciso chiunque fosse giapponese, anche mal consigliati da soldati dell’esercito imperiale, finirono per uccidersi l’un l’altro. Proprio questa grotta, gama nella lingua locale, è il focus dell’ultimo lavoro di Kaori Oda, talentuosa filmmaker e artista giapponese autrice negli ultimi anni di interessanti documentari dal taglio sperimentale quali Aragane (2015) e Cenote (2019). L’opera, intitolata Gama appunto, è stata proiettata alcune settimane fa nella città di Toyonaka, Osaka, e rappresenta per Oda una sorta di secondo capitolo, o una traccia per meglio dire, di un progetto più ampio che dovrebbe diventare un film in uscita l’anno prossimo e che Oda sta sviluppando sulle aree sotterranee del Giappone, sotterranee sia in senso letterale che figurato.
IL PRIMO CAPITOLO di questo progetto è un’installazione, intitolata Underground, proiettata su un grande schermo orizzontale in un passaggio pedonale sotterraneo della città di Sapporo, in Hokkaido. Dal punto di vista formale Gama si discosta leggermente dalle opere precedenti dell’artista giapponese. Esiste nel film cioè un forte elemento performativo che era quasi totalmente assente in Aragane, Cenote o anche in Towards a Common Tenderness (2017).
Verso la fine del lavoro, Oda sposta lo sguardo su un’altra temporalità, quella del presente dell’isola, dalla grotta, dove la guida e il suo gruppo stanno cercando e separando ossa umane da quelle animali
NEL FILM, le grotte sono utilizzate come set per le storie raccontate da una guida locale, specializzata nella storia e nelle storie legate a queste cavità naturali. Immerse nell’oscurità, con solo qualche lama di luce a tagliare l’inquadratura, queste tragiche storie di donne, bambini e anziani che temono per la loro vita, vengono recitate con un ritmo cantilenante che conferisce al film una qualità sonora quasi ipnotica. Una parte importante e centrale dell’opera è la presenza di Nao Yoshigai, danzatrice e a sua volta regista che si muove, striscia e quasi danza per tutta la grotta, mentre la guida racconta. Una figura fantasmatica che evoca presenze passate, siano esse umane o non umane. La compresenza di storie umane, in questo caso le tragiche memorie di guerra, con il tempo geologico, i millenni che qui hanno plasmato le grotte, è uno dei temi centrali di Gama, la grotta ha sul fondo ed è essa stessa composta di strati di minerali, microrganismi, ossa di animali e ossa umane, tracce del tempo storico e geologico che qui si sovrappongono.
Verso la fine del lavoro, Oda sposta lo sguardo su un’altra temporalità, quella del presente dell’isola, dalla grotta, dove la guida e il suo gruppo stanno cercando e separando ossa umane da quelle animali, ci spostiamo all’esterno, dove lo schermo si riempie del blu del mare e del cielo, e del bianco della spiaggia corallina. Qui Yoshigai gioca con pezzi di corallo, essi stessi resti di vite passate, producendo con essi un suono leggero e rilassante. La pace della scena viene interrotta quando il rumore assordante di un aereo americano che passa nelle vicinanze trasforma la scena in un urlo, ricordando a noi spettatori, non agli abitanti di Okinawa che loro malgrado la subiscono ogni giorno, la realtà dell’opprimente presenza delle basi americane nell’isola.
matteo.boscarol@gmail.com
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