Carlos Tavares si dimostra manager molto più furbo e capace di Sergio Marchionne e in un giorno solo smonta la vulgata montante – governo Meloni compreso – che lo voleva come «anti italiano».
Il ceo di Stellantis ha voluto incontrare la stampa italiana dopo la presentazione dei conti record del 2023 – con un utile netto in crescita dell’11% a 18,6 miliardi di euro, ricavi netti pari a 189,5 miliardi, in aumento del 6% e un incremento del 7% dei volumi delle consegne.

E invece di concordare sul fatto che quei soldi che gli escono dalle orecchie può condividerli anche con i lavoratori italiani – a cui riconosce solo un misero «Premio di risultato», strumento ereditato dal modello Marchionne, di 2.112 euro – Tavares è riuscito nel capolavoro di convincere tutti che l’Italia è centrale nella sua strategia.

Per rafforzare l’idea, poche ore prima aveva cooptato nel consiglio di amministrazione la presidente di Borsa Italiana Claudia Parzani come indipendente al posto di Kevin Scott, americano dimissionario per «motivi personali».

Rimangiandosi le parole dette ad Atessa tre settimane fa e quelle riportate – evidentemente in modo quanto meno equivoco – nell’intervista a Bloomberg di due settimane fa, Tavares ha sostenuto che nessun stabilimento italiano di Stellantis è a rischio. I citati Pomigliano e Mirafiori avranno un futuro: arriveranno nuovi modelli, anche se Tavares, furbamente, non dice quali. La Panda sarà sostituita mentre per la 500 e i nuovi incentivi dovrebbero rilanciarla.

Di più, Tavares ha lodato il governo italiano – questo è giusto: anche Urso lo finanzia a fondo perduto su gigafactory batterie di Termoli e incentivi da un miliardo l’anno – e lo ha perculato sull’obiettivo di un milione di veicoli prodotti in patria l’anno spostando la dead line al 2030. «Siamo grati al governo per gli incentivi, è una grande decisione. I consumatori ne trarranno beneficio. Condividiamo l’obiettivo di produrre un milione di veicoli entro il 2030, lavoreremo fianco a fianco con il governo. L’anno scorso abbiamo prodotto nei nostri stabilimenti italiani 752.000 veicoli, con una crescita del 10%, un dato significativo. Se continueremo a tenere questo ritmo potremo raggiungere l’obiettivo prima del 2030», è la frase completa.

La presa in giro di Urso – che ha minacciato di togliere gli incentivi se vanno ad auto non prodotte in Italia – si completa ricordando che «il 63% della produzione Stellantis in Italia va all’estero e l’export fa bene alla bilancia commerciale italiana». Il manager replica anche a chi sostiene che il gruppo privilegi la Francia: «Non sono italiano o francese o inglese. Io sono portoghese e quando prendo decisioni le prendo nel migliore interesse di Stellantis come società globale». E qua arriva l’unica critica a Marchionne: «Abbiamo utilizzato le piattaforme Psa perché c’era urgenza di procedere con l’elettrificazione e non c’erano soluzioni competitive dal punto di vista dei costi sviluppate prima della fusione. Fca in passato non ha fatto gli investimenti necessari nell’elettrico».
Il ceo ha infine smentito qualsiasi operazione di fusione: «non abbiamo trattative in corso su nulla che assomigli a una fusione. Certamente non ci sono operazioni allo studio con Renault. Si è trattato di una pura speculazione».

Il successo di Tavares è completato dal silenzio del governo Meloni e dai sindacati firmatari del «contratto Marchionne» che accolgono con soddisfazione la notizia del premio ai dipendenti e le rassicurazioni sul futuro degli stabilimenti. «Le dichiarazioni di Tavares sono positive, ma servono scelte precise sui nuovi modelli nei vari plant italiani per raggiungere l’incremento di un terzo delle attuali produzioni», affermano Roberto Benaglia, segretario generale della Fim Cisl e Ferdinando Uliano, segretario nazionale. La Fiom è l’unica a sfidare Tavares: «È ora che dalle parole si passi agli atti, quindi che ci sia un incontro con la presidente del Consiglio, Tavares e i sindacati per aprire un confronto che porti a un accordo che garantisca investimenti in ricerca e sviluppo, nuovi modelli e tutela dell’occupazione», attaccano Michele De Palma, segretario generale della Fiom e Samuele Lodi, responsabile del settore mobilità.