I giudici romeni hanno negato ancora una volta gli arresti domiciliari a Filippo Mosca e Luca Cammalleri. L’ennesima doccia fredda della vicenda è arrivata ieri. Le speranze di ottenerli non erano altissime. «L’ho sentito dopo il rientro in cella provando a dargli la forza necessaria per affrontare giornate che sembrano infinite. La sua voce è triste ma sta lottando per lui e per noi», dice Pietro Cammalleri, il fratello di Luca.

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«Mi aveva detto che non ci credeva ai domiciliari. In Romania le condizioni di vita in carcere non interessano a nessuno. Il suo stato d’animo è a terra», afferma Claudia Crimi, 26 anni, fidanzata di Mosca. La madre del ragazzo, Ornella Matraxia, confessa sconsolata di «avere paura». «Questa decisione non mi fa sperare nulla di buono per il mese prossimo», aggiunge. Il 7 marzo si svolgerà il processo di appello, inizialmente previsto per l’11 aprile. Le difese hanno chiesto e ottenuto di anticiparlo.

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A fine gennaio, dopo che a Budapest Ilaria Salis è stata portata in aula con guinzaglio e catene, il caso dei due ragazzi di Caltanissetta è finito sui giornali italiani. Matraxia ha denunciato le terribili condizioni di detenzione che figlio e amico subiscono nella prigione di Porta Alba a Costanza: topi, aggressioni, cibo immangiabile, 22 persone tenute in una cella di 30/35 metri. Grazie all’attenzione mediatica – che ha avuto eco anche in Romania – Mosca, Cammalleri e gli altri italiani reclusi in quel carcere sono stati trasferiti in una cella da sei posti, dove le condizioni di sicurezza sono migliorate, ma quelle igieniche restano molto precarie.

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La speranza delle famiglie è che almeno in appello i due ragazzi possano avere un equo processo. Quello che ritengono sia stato loro negato in primo grado.