Luca Cammalleri ha compiuto 30 anni a giugno scorso: dietro le sbarre della terribile prigione di Porta Alba, nella città rumena di Costanza. Era stato incarcerato il mese precedente insieme a Filippo Mosca e un’altra ragazza italiana. Accusato di traffico internazionale e possesso di stupefacenti per una vicenda controversa relativa a 150 grammi di sostanze, è stato condannato in primo grado a otto anni e due mesi durante un processo in cui le difese hanno denunciato gravi irregolarità. «La vita della mia famiglia è distrutta. Ormai vivo e lavoro solo per mio fratello. Non è possibile accettare che sia tenuto in quelle condizioni. Stanno violando la sua dignità», racconta Pietro, due anni più grande. Lavorava al nord come informatore scientifico farmaceutico, dopo l’inizio dell’incubo si è fatto trasferire nella sua Caltanissetta per poter gestire meglio la difficile situazione.

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Come sta suo fratello?

Da due giorni lo hanno messo in un’altra cella. Le condizioni igienico-sanitarie e di sicurezza sono migliorate. Questo gli permette di vivere con un minimo di serenità in più, quella che gli è mancata negli ultimi nove mesi. Ma la situazione resta disastrosa: da quando Luca è in carcere si è lasciato andare completamente, sta tutto il giorno senza fare nulla, è sempre più spento.

In questi mesi cosa vi ha raccontato?

Come sta l’ho visto con i miei occhi. Vado continuamente in Romania. Da maggio a dicembre dell’anno scorso l’ho potuto incontrare solo con un vetro in mezzo. Non poterci abbracciare ci ha ferito tantissimo. Soltanto durante le vacanze di Natale ci siamo finalmente potuti vedere senza quel divisore: è stata un’emozione pazzesca. In quell’ora e mezzo abbiamo dimenticato tutto quello che ci sta accadendo.

Quando ha saputo dell’arresto?

Ero al supermercato, a maggio dell’anno scorso. Mi ha chiamato il padre di Filippo, le nostre famiglie si conoscono. Mi ha spiegato che la polizia aveva portato i ragazzi in questura a causa di quel pacco. Sono rimasto di pietra, completamente confuso. Ho provato a chiamare Luca ma non rispondeva. Quando ci siamo sentiti piangeva e chiedeva aiuto.

Quale è stato il momento più duro?

La prima volta che sono entrato in quel carcere è stato molto traumatico. Ho provato ansia e terrore. Ma quello che ci ha fatto più male è stato sapere in quali condizioni è costretto a vivere Luca. Privato di ogni dignità. I primi venti giorni mentre parlavamo al telefono mi diceva spesso: aspetta, aspetta, c’è un topo. La cella della quarantena ne era piena. Poi è stato messo con altre 23 persone in uno spazio di 30/35 metri quadri, è rimasto lì per mesi. È come ha raccontato la madre di Filippo: il bagno in condizioni degradate, l’impossibilità di lavarsi, il cibo immangiabile. Là dentro non ci sono attività ricreative, che stimolino un poco le persone: hanno solo un mazzo di carte e la possibilità di telefonare a casa. Così i detenuti si annullano.

La sua famiglia come sta?

Mia madre è una donna forte e cerca di nascondere le sue fragilità per dare forza a me. È venuta due volte in Romania, a giugno e dicembre, perché recarsi continuamente all’estero costa molto e dobbiamo cercare di ammortizzare le spese. Io ormai lavoro solo per spedire i soldi a Luca e andare a trovarlo. Quando avevamo 9 e 7 anni siamo rimasti senza padre. Credevamo di aver superato quella mancanza, con le nostre forze e quelle della mamma. Invece si è ripresentata in questa cosa. Fa molto male.

Vi siete messi in contatto con l’ambasciata o il ministero degli Esteri?

No, credo debba finire il processo per chiedere il trasferimento in Italia. Siamo contenti che negli ultimi giorni grazie alla pressione mediatica le sue condizioni di detenzione siano migliorate. È straziante vederlo là dentro: è un ragazzo solare, pieno di energia e generosità, ma adesso ha gli occhi spenti. Ogni volta che salgo sull’aereo per tornare a casa piango in silenzio. Mi sembra di abbandonarlo.

Ha qualcosa da chiedere alle autorità italiane?

Speriamo che mio fratello possa avere un processo giusto: quello di primo grado non lo è stato. Ma al governo italiano chiediamo soprattutto che si impegni per farlo tornare a casa. Non possiamo andare avanti così, né lui né noi. Luca deve essere trasferito in Italia. Vogliamo la garanzia che ce lo restituiscano. Per poterci prendere cura di lui da vicino.